| 23 dicembre 2018, 19:05

Quando i bambini italiani (e veneti) dovevano piangere sottovoce

Nicoletta Bortolotti nel romanzo Chiamami Sottovoce (Harper Collins) racconta, con quella del "suo" Michele, le vite proibite di bambini che dovevano fingersi inesistenti. Erano i figli degli stagionali italiani e, come tali, erano "vietati" perché le leggi del leader James Schwarzenbach, nella Svizzera degli anni Settanta, impedivano i ricongiungimenti familiari.

Infanzie chiuse dentro i cofani delle auto prima, quando si doveva attraversare la frontiera. Poi costrette ai perimetri clandestini di qualche soffitta. I figli degli emigranti italiani uscivano solo di notte, si nascondevano negli armadi appena sentivano un campanello. Nessuno doveva accorgersi della loro presenza: quando mangiavano, facevano attenzione anche ai rumori piccoli, come quelli delle posate che si toccano.

Gian Antonio Stella in un articolo del Corriere della Sera del 2008 parla di 30mila bambini italiani illegali, portati a Berna o Basilea dai loro genitori siciliani e veneti, calabresi e lombardi, a dispetto delle leggi svizzere. Sul tema è stato detto poco, ma quel poco ha contorni che ricordano le giovinezze strappate di tante Anna Frank.

Ogni articolo e libro che tenta di affrontare questo fenomeno, mai raccontato abbastanza, si sofferma sugli aspetti più duri, di feroce privazione. I bambini nascosti, come li hanno chiamati due studiosi svizzeri (Marina Frigerio e Simone Burgherr), non potevano fare rumore, ridere, giocare e piangere. I genitori temevano le denunce dei vicini, e così capitava che crescessero senza veder quasi mai il sole. Alcuni chiusi a chiave nelle stanze per anni, ad aspettare mamma e papà tornare dal lavoro, senza potersi affacciare a nessuna finestra.

Nacquero scuole clandestine, imperniate sulla bontà pratica di maestre, anche svizzere, che alle leggi ingiuste opponevano un senso di giustizia più alto e più semplice. Gli orfanotrofi di frontiera erano colmi di piccole creature denunciate, bimbi clandestini scoperti e dunque portati dai genitori appena fuori dalla Svizzera, a vivere come "orfani di frontiera".

Nel libro della scrittrice milanese, ma di origine svizzera, Nicoletta Bortolotti c'è lo scorcio di questi anni, di quelle ferite che oggi si portano ancora addosso i tanti "ex bambini nascosti", divenuti adulti come il Michele di Chiamami Sottovoce, che, nella finzione letteraria, è manager di successo proprio nella nostra città, a Veronafiere. "Molti degli ex bambini nascosti anche una volta cresciuti, continuano spesso a parlare sottovoce". Vite, le loro, cominciate nel silenzio che si portano addosso, forse per sempre, il trauma di essere state zittite.

Tra le pagine del suo romanzo c'è la storia grande che incontra quella breve di due bambini, Nicole e Michele. Si uniscono in un'amicizia invisibile, fatta di pennarelli rubati e di risolini leggeri perché trattenuti. Lei, Nicole, in Svizzera ci vive legalmente, può uscire a toccare la neve, può cantare e può, pure, frignare. Michele è un bambino proibito, anche se cade deve piangere senza far rumore, vive in una soffitta ad Airolo, con le tende tirate a nascondere la sua infanzia vietata.

Guarda l’intervista:

https://www.youtube.com/embed/K-W7oZsPeNg

 

 

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