| 06 novembre 2019, 10:24

Lo smartworking spiegato, senza retorica

Lo smartworking spiegato, senza retorica

La definizione è già piuttosto chiara: «…il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva». Così recita l’articolo 18 della legge sullo smart working approvata in Italia nel 2017. Sta cambiando non solo il mondo del lavoro e dei contratti ma anche i modi di lavorare. Lo smart working, detto anche lavoro agile, è un modo di svolgere il proprio mestiere che cresce con l’aumentare dell’impatto della tecnologia sul lavoro e sui lavori. È un fenomeno più strutturato nelle grandi aziende (vedi il caso della Barilla) ma si sta diffondendo anche a Verona.

Sta prendendo sempre più piede anche il coworking, uno stile lavorativo che prevede la condivisione di un ambiente di lavoro, mantenendo però un’attività indipendente, e che quindi coinvolge professionisti che lavorano a casa, liberi professionisti o persone che viaggiano frequentemente e che necessitano di un luogo di “appoggio”; inoltre il coworking permette di ridurre i costi della gestione di un ufficio. È un fenomeno crescente che non conoscerà declino più si evolvono le tecnologie e internet sia a livello qualitativo sia quantitativo. Molto più di quello che abbiamo fatto fino ad oggi, quando pure lo shopping online, l’home banking o l’informazione web stanno già imperversando.

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