Storie di persone | 31 maggio 2019, 09:24

Daniele Girardi, l'artista veronese ora al Mart con una nuova opera

Daniele Girardi, l'artista veronese ora al Mart con una nuova opera
Daniele Girardi - Single Use Memories - 2019 - Courtesy La Giarina arte contemporanea

È tornato a Verona, sua città natale, dopo un’assenza di più di vent’anni. Molte le scelte e, poi, le opportunità per Daniele Girardi, 41 anni, di vivere lontano da una città che, ad un artista, può talvolta stare stretta.

E dunque, dapprima la scelta di studiare all’Accademia di Brera a Milano, poi la possibilità di trascorrere due anni tra New York per la vincita di un bando ISCP (International Studio & Curatorial Program), il programma di residenze artistiche più prestigioso al mondo, e San Francisco. L’esperienza d’Oltreoceano ha dato vita al progetto I Road, un video acquisito dal Museo MACRO di Roma. A Verona, invece, alcune opere di Daniele Girardi sono state esposte nella collezione della Galleria d’Arte Moderna “Achille Forti”, ma già nell’ex sede di Corso Sant’Anastasia ha partecipato, nel 2008 e 2012, a due mostre collettive e alla galleria la Giarina arte contemporanea in cui ha ospitato l’ultima personale.Da ieri, 30 maggio, la sua nuova opera Single Use Memories ad essere esposta al MART presso la Galleria Civica di Trento nell’ambito della mostra fotografica collettiva “Everyday Life. Economia globale e immagine contemporanea”, a cura di Gabriele Lorenzoni e Carlo Sala, parte del Festival Economia di Trento, il cui tema di quest’anno è globalizzazione, nazionalismo e rappresentanza.

Come è arrivato a questo lavoro?

Come accade sempre nel mio modo di lavorare, anche questa volta non sono partito con l’idea di realizzare un’opera, si trattava di un lavoro di ricerca trasversale all’esperienza che ho portato avanti per cinque anni, dal 2014 al 2019 condensato nel progetto North Way. Ho compiuto dei viaggi in solitaria, prima in Val Grande, un’area Wilderness al confine tra Italia e Svizzera, poi nei Paesi scandinavi: Norvegia, Svezia, Finlandia. In Norvegia e Svezia ho camminato moltissimo nelle foreste, in Finlandia ho scelto le vie d’acqua attraversando in canoa per chilometri i laghi di quel bellissimo Paese. Ho portato con me sempre macchine fotografiche monouso: il mio era un agire nell’incognita perché non sapevo se la foto sarebbe stata fatta e non sapevo come sarebbe venuta, al contrario delle foto digitali che scattiamo ogni giorno.

Cosa c’è alla base di questa scelta?

La mia è stata una vera e propria disconnessione, ho scelto di viaggiare sempre da solo. Sebbene organizzato, perché partivo sempre da una base dove lasciavo i miei contatti e i miei itinerari, ho dovuto affrontare situazioni molto rischiose. La precarietà dei miei viaggi si è allargata e ha preso forme non prevedibili grazie alle fotografie che ho scattato. Il mezzo che usavo per fotografare non mi permetteva, tecnicamente, di fare delle belle foto, ma di cercare l’autenticità di quei momenti, senza che io potessi peraltro sapere come sarebbero venute se non dopo lo sviluppo dei rullini.

 

Perché questa scelta, se vogliamo, un po’ all’antitesi della fotografia classica?

Premetto che io non mi considero un fotografo. Per me la foto è il corrispettivo del block notes, quando vedo qualcosa che mi colpisce, che suscita in me delle riflessioni, delle suggestioni. Per me la foto dovrebbe rappresentare la memoria, tangibile e oggettiva, di un momento e per questo ho voluto che fossero documentate con questo mezzo. Siamo abituati a scattare decine di foto ogni giorno con il cellulare, ma spesso rimangono dei file facilmente dispersi nel “deserto digitale”. Con la foto sviluppata e in seguito stampata questo non succede, qualcosa rimane, perché è come costruire un archivio storico e tangibile del nostro vissuto.

Come ha creato l’opera che espone alla Galleria Civica di Trento?

Ho fatto un enorme lavoro di selezione: sono quaranta foto sulle migliaia che ho scattato in questi anni di viaggi. L’incoraggiamento a ricavarne un archivio installativo è dovuto anche alle riflessioni fatte assieme a Jessica Bianchera, curatrice, che mi ha sempre spronato ad andare avanti. Questa è la prima volta che presento delle foto, di solito espongo installazioni, video o interventi site specific. Sono soddisfatto e onorato di poter presentare un lavoro inedito in un contesto così prestigioso e condividere con il pubblico il percorso e il messaggio della mia ricerca nell’epoca in cui viviamo.