Storie di persone | 09 giugno 2021, 09:28

L’ospitalità che fa bene al cuore

L’ospitalità che fa bene al cuore

Sì, una missione, perché far comprendere l’importanza e la ricchezza che può dare l’accoglienza di chi è fragile, non è comunque semplice per noi: così lontani dagli orrori delle guerre, assuefatti ormai anche alle notizie più tragiche che ci vengono date in pasto dai media. Eppure qualcuno che spera di poter cambiare il mondo c’è e c’è anche a Verona.

La sezione scaligera di Refugees Welcome è nata circa tre anni fa e sono diverse le famiglie che da allora hanno creduto nel progetto dando una mano ai ragazzi e alle ragazze che arrivano da rifugiati in Italia e necessitano di una “spinta” per tornare a camminare sulle proprie gambe: «I rifugiati sono coloro che arrivano in Italia e fanno richiesta di protezione. Ma quando gli viene riconosciuto lo status di rifugiato diventano fragili, perché devono lasciare il Centro di Accoglienza in pochi giorni e spesso finiscono per ritrovarsi in mezzo a una strada» ci spiega Daniela Pagliarello, attivista di Refugees Welcome Verona.

Quello che fa l’organizzazione per risolvere questa situazione paradossale è semplice e complesso allo stesso tempo: «C’è una piattaforma su cui si possono iscrivere sia le famiglie che offrono ospitalità, che i ragazzi che cercano aiuto. Noi contattiamo sia le famiglie che i ragazzi e cerchiamo di capire quali possono essere gli abbinamenti più funzionali. Poi proponiamo la soluzione a entrambi e, se acconsentono, prima li facciamo incontrare in un posto neutro e poi dentro la casa della famiglia ospitante. Dopodiché si inizia la convivenza, che viene monitorata dalla rete di Refugees Welcome. Infine viene stilato un patto di ospitalità con delle regole sia per la famiglia che per il ragazzo».

La convivenza, che può durare dai sei ai dodici mesi, non si esaurisce nell’offerta di un tetto sopra la testa dei ragazzi, ma, come ci spiega Daniela, «è un progetto di inclusione, un confronto tra culture per imparare qualcosa uno dall’altro. È un modo anche per dare l’occasione a chi ospitiamo di avere il tempo per fare cose che, altrimenti, non potrebbe fare: studiare, prendere la patente o trovare un lavoro». 

È chiaro che, come tutte le convivenze, non sempre è tutto “rose e fiori”: «Alcune famiglie si aspettano un coinvolgimento maggiore da parte dei ragazzi, ma sono persone più indipendenti di quanto uno possa immaginare. Certo, se poi emergono delle vere problematiche, l’esperienza si può interrompere in qualsiasi momento» dice Daniela. Ma sono pochi coloro che decidono di rinunciare, anzi: ci confessa Daniela che quasi tutte le famiglie veronesi che hanno preso parte al progetto hanno sempre rinnovato fino ai 12 mesi l’accoglienza, forti anche di un legame che si viene a creare, inevitabilmente, con chi si ospita: «Quasi tutte le famiglie che hanno ospitato tengono i contatti con i ragazzi. Insomma, non stai cambiando il mondo, ma stai cambiando il mondo di una persona. Questo è il bello».

L'esperienza di Maria Luisa

E a pensarla così sono anche Maria Luisa e suo marito, che da un mese circa hanno dato una casa ad Abulai, un ragazzo di 22 anni proveniente dalla Guinea Bissau: «Io e mio marito avevano da tanti anni il desiderio di accogliere qualcuno in casa…ma trovavamo sempre una scusa per non farlo, perché è una cosa che all’inizio fa paura. Poi un giorno ho letto di Refugees Welcome, li abbiamo contattati e abbiamo iniziato questa esperienza» ci racconta Maria Luisa.

La convivenza è iniziata quasi subito, ci spiega: «Ci siamo visti via Skype, ci siamo parlati e insieme all’attivista che lo stava ospitando è venuto a trovarci e abbiamo sentito subito che sarebbe andato tutto bene. Dal giorno dopo era a casa nostra e ci resterà per il tempo che gli serve».

Per il momento l’esperienza di Maria Luisa procede a gonfie vele e non ci nasconde la soddisfazione per questo incontro inaspettato: «Abulai è un ragazzo molto gentile, educato, determinato ed è simpatico da morire. Purtroppo noi lo vediamo pochissimo perché parte alle 6 del mattino e torna alle 20 perché va a lavorare in campagna, ma quando arriva è sempre allegro, mangiamo insieme e l’unica volta in cui litighiamo è perché vuole sempre lavare i piatti (ride, ndr). – ci racconta Maria Luisa - Non credevo sarebbe stato così costruttivo per noi. Quello che vivono questi ragazzi lo leggiamo solo sui giornali, mentre noi ne abbiamo parlato con qualcuno che l’ha vissuto: Abulai è stato nel deserto, in prigione in Libia e su un barcone. Il papà è in guerra civile e con la mamma era dovuto scappare in un altro Paese».

Abulai adesso avrà il tempo per riprendersi la sua vita e plasmarla sotto l’ala amica di Maria Luisa e di suo marito che, per ora, sembrano avere vinto la sfida dell’accoglienza. Ma ciò che è certo è che, anche se lontano da casa, il giovane Abulai ha trovato una famiglia: «Sono molto felice di essere in Italia e spero di poter restare a vivere qui, avere un lavoro che mi permetta di mantenermi e di rinnovare il mio permesso di soggiorno alla scadenza. Ringrazio l'associazione Refugees Welcome che mi ha aiutato e mi ha trovato una famiglia che mi fa sentire a casa dopo molto tempo».