Storie di persone | 31 dicembre 2019, 09:55

Valeria Benatti, a proposito di libertà

Valeria Benatti, a proposito di libertà

«Fimmina impegnativa» come la chiama il suo compagno Emanuele, mamma che lavora, attivista e femminista. Sono queste le parole che sceglie per definirsi. Nonostante i tanti anni milanesi, per sua stessa ammissione, Valeria Benatti continua a sentirsi «una provinciale in trasferta». Libera di una libertà nuova, è convinta che serva ancora lottare per le donne. Sì, anche nel nostro Occidente. Sì, anche nella nostra Italia. Dopo tre anni il suo Gocce di veleno è diventato altro, non più solo romanzo che racconta la violenza psicologica («così maledettamente subdola») le sudditanze segrete, le prevaricazioni costanti e quel senso di vergogna così ingiusto. Il suo libro si è trasformato in un long seller, letto nelle librerie come nei Centri Antiviolenza. Dal 25 novembre è anche pièce teatrale curata dalla psicoanalista bolognese Rosanna Rulli. «Se l’uomo che dice di amarti non ti incoraggia, non ti sostiene e non si fida di te allora semplicemente non ti ama. Meglio lasciarlo». L’amore vero, invece? «è confidenza profonda». Del sesso, lei che è stata autrice anche di Love Toys (libro uscito con sexy gadget allegato) pensa che se ne parli con eccessiva superficialità «c’è poca conoscenza dell’eros. Per quello ci vuole più tempo, attenzione, cura, e molti non ce l’hanno». Il 21 gennaio, la giornalista, originaria di Bosco Chiesanuova, torna in libreria con Da oggi voglio essere felice per Giunti. «Una storia tosta», un bambino di 5 anni, una vita difficile, una mamma che non può occuparsi di lui. Dentro ci sono i suoi mesi di volontaria al Centro aiuto famiglia e la consapevolezza che certe ferite anche se sembrano eterne, possono, un giorno, fare spazio a insperate ripartenze.

Natalia Ginzburg diceva che «le donne sono una stirpe disgraziata e infelice perché hanno questa abitudine di cascare nel pozzo» della malinconia, dell’inadeguatezza. Quali sono le risorse interiori alle quali appellarsi per evitare di «cadere nel pozzo»?
Premesso che non ritengo di far parte di «una stirpe disgraziata e infelice» e che anzi ringrazio di esser nata donna, è vero che spesso le trappole del patriarcato ci possano far sentire “inadeguate” e di conseguenza “malinconiche”. Proviamo a cambiare prospettiva e guardarci fra noi: siamo così brave a sostenere mille impegni che dovremmo elogiarci ogni mattina guardandoci allo specchio. Abbiamo sulle nostre spalle il peso del mondo e continuiamo a correre e sorridere e prodigarci per tutti. Dobbiamo avere più fiducia in noi stesse e preoccuparci meno di quel che gli uomini pensano di noi.

Di quali battaglie femministe c’è ancora bisogno oggi in Italia?
Se è vero che femminismo significa lotta contro i soprusi e le ingiustizie, c’è bisogno di femminismo più che mai, oggi in Italia. Questo movimento che è nato per liberare le donne da millenni di subalternità, oggi continua a impegnarsi e a incidere nella società stando dalla parte delle minoranze discriminate, siano esse donne, migranti, omosessuali. Nessuna battaglia vinta lo è per sempre, e anzi in questo periodo storico c’è una sorta di regressione: vengono messe in discussione leggi acquisite come la 194, siamo ancora lontani dal riconoscere parità salariale a uomini e donne, il famoso soffitto di cristallo è spesso irraggiungibile.

Nel titolo del suo libro Gocce di veleno (Giunti, 2016) è già racchiusa l’immagine della violenza psicologica come uno stillicidio quotidiano di gesti e offese…
La violenza psicologica è diffusissima e maledettamente subdola. Comincia con la denigrazione, la mortificazione, poi diventa insulto o delegittimazione, e ancora cresce e si trasforma in controllo e dominio. Se l’uomo che dice di amarti non ti incoraggia, non ti sostiene e non si fida di te allora semplicemente non ti ama. Meglio lasciarlo.

Lei come è riuscita a sottrarsi?
Io mi sono rivolta a un Centro Antiviolenza, e l’ho fatto perché da sola non riuscivo a tagliare i fili vischiosi che mi legavano a una persona incapace di amare. Le psicologhe del Centro Antiviolenza sono professioniste empatiche ed esperte, che in pochi efficaci incontri riescono a farti riprendere in mano il bandolo della tua vita. Consiglio a tutte di rivolgersi a loro, al primo segnale di sofferenza.

Sui suoi social condivide spesso frasi tratte dai libri che ha amato. Le giriamo la domanda che Eshkol Nevo fa risuonare in Tre Piani «Se mi chiedessero cos’è l’amore, direi la certezza che esiste, in questo mondo bugiardo, una persona completamente onesta con te e con la quale tu sei completamente onesta, e fra voi è solo verità, anche se non sempre dichiarata». Se le chiedessimo che cos’è l’amore, lei cosa direbbe?
L’amore è confidenza profonda, è solidarietà e vicinanza, è fiducia e condivisione.

Sono passati anni da Love Toys, secondo lei le donne oggi riescono a parlare di più di sesso, si sentono più libere?
Se ne parla anche troppo, ma parlarne non significa essere liberi. Viviamo in una società fatta di ostentazioni, mentre il sesso ha bisogno di intimità. I ragazzini si formano sui canali pornografici e confondono la finzione con la realtà. C’è troppo sesso nell’aria e poca conoscenza dell’eros. Per quello ci vuole più tempo, attenzione, cura, e molti non ce l’hanno. La libertà di parlarne però è un fatto positivo, e credo che anche le donne abbiano finalmente imparato a esprimere i propri gusti e desideri.

Con il programma W l’Italia su RTL 102.5 ogni giorno entra in contatto con i pregi e i difetti degli italiani. Quali sono i tabù ancora in piedi nel nostro Paese?
Paradossalmente il sesso è ancora un tabù in una radio come RTL 102.5 che arriva a milioni di persone. Io vado in onda al mattino, e se per caso ne facciamo un accenno, puntualmente arrivano messaggi del tipo «Attenzione, ci sono i bambini che ascoltano», come se i bambini non dovessero mai e poi mai sentire nulla che riguarda il sesso. Ma perché abbiamo cosi paura di questa contaminazione? Sarebbe molto meglio saper parlare di sesso con i nostri figli senza timori, permettendo loro di crescere liberi e sereni. Il sesso non è mica una brutta parola, né una malattia, e prima se ne parla, meglio è. Anche perché così si permette ai bambini oggetto di attenzioni morbose da parte degli adulti di potersi difendere e di saper riconoscere le carezze buone da quelle cattive. È colpa di questa omertà pruriginosa se ancora oggi migliaia di bambini vittime di abusi sessuali si tengono questo segreto chiuso dentro il cuore come un macigno.

Le violenze generano ferite spesso eterne. Il suo prossimo libro Da oggi voglio essere felice racconta come si prova a venirne a patti…
Le ferite si curano e col tempo si rimarginano. Restano le cicatrici, è vero, ma una volta guarite si può e si deve ripartire. I bambini protagonisti del mio nuovo romanzo hanno subito atrocità indicibili, eppure hanno la sana voglia di vivere, non solo di sopravvivere, e se gliene si dà la possibilità, sono capaci di rinascere e tornare a sorridere.

La Rai, RTL 102.5, i libri: ha avuto una carriera di successi. Si sente una donna “riuscita”?
Mi sento una donna fortunata perché ho avuto dalla vita molto più di quanto mi aspettassi. Da ragazzina sognavo di lavorare in radio e da 18 anni vado in onda nella radio più ascoltata d’Italia. L’idea di scrivere un libro poi era talmente esagerata che ho aspettato tanto prima di osare farlo. E a gennaio uscirà il mio sesto romanzo. Ma al di là di questi traguardi, quello che mi dà più soddisfazione è di essere rimasta la ragazza altruista che ero al liceo. Nutro gli stessi ideali di allora: giustizia, equità, solidarietà, e mi batto da sempre per questo.

Molte donne si scontrano con l’impossibilità di essere tutto al meglio: donne in carriera, madri, mogli, amiche. Si è mai sentita inadeguata in qualche aspetto, incapace di tenere in piedi tutto?
Quando è successo ho mollato qualcosa. Non si può fare tutto e bene, meglio prendersi del tempo, rimandare quel che non è possibile fare, capire le priorità. Imparare a dire di no è importante. Non casca il mondo e poi ci si sente meglio. Sollevate.

Passa dal linguaggio radiofonico al romanzo, come riesce a coniugare due ritmi narrativi così diversi?
È proprio questo il bello! La radio è immediatezza, istinto, velocità, mentre la scrittura è riflessione, pensiero, lentezza. Un linguaggio nutre l’altro, e in effetti ho uno stile di scrittura conciso e scarno.

Di Verona, sono più le cose che le mancano o quelle che è contenta di essersi lasciata alle spalle?
Di Verona mi manca l’aria famigliare, la sensazione di conoscere tutti e di essere coccolata. L’ho lasciata perché mi attraevano sfide professionali più impegnative, e in questo Milano è una città imbattibile.

Non si può prescindere dal luogo dal quale si proviene. Lei è nata a Bosco Chiesanuova. Venire dalla provincia ha giocato a favore o a sfavore nella sua vita?
Continuo a sentirmi una provinciale in trasferta, ma se questo una volta poteva essere un complesso, ora invece è un tratto di cui vado fiera. L’amore per le piccole cose, l’attenzione ai dettagli, la semplicità e l’umiltà secondo me nascono proprio da lì. E mi piace conservarli.


Tornando ancora alla Ginzburg, c’è un “lessico famigliare” che si porta dietro dalla sua infanzia a Bosco Chiesanuova?
C’è ogni volta che sono al telefono con mio fratello Andrea o con mia sorella Ornella, c’è perché chi mi sente dice che con loro parlo in un altro modo, con un altro accento. Torno veronese in un lampo, e non me ne rendo nemmeno conto.