Cultura e spettacoli | 28 dicembre 2015, 16:15

«Abbiamo tutto e non c'è pace. Perché la pace manca dentro»

Dopo 3 anni, 3 mesi, 3 giorni (non proprio alla lettera, ndr) in solitudine secondo il tradizionale ritiro buddhista, Lama Jampal ha lasciato la scuola nepalese di Benchen a Kathmandù ed è volato sulle dolci colline di Cancello, a Montorio. Monaco «per beneficio di tutti gli esseri senzienti» e giunto nel nostro Paese per un motivo non dissimile, vive dal 2003 in una casetta avvolta dalle ormai conosciute bandierine tibetane che lasciano al vento il compito di disperdere pensieri e preghiere. Il Centro Studi e Meditazione Benchen Karma Tegsum Tashi Ling che lo ospita in via permanente, nasce dall’incontro di alcuni praticanti veronesi con il XVI Karmapa ed il Venerabile Maestro della tradizione Karma Kaju del buddismo tibetano, Tenga Rinpoche, negli anni ‘80. Oggi la struttura è un luogo aperto ai visitatori e a quanti frequentano i corsi di meditazione.

Da un'ora imprecisata dell'alba fino alle 9 di ogni mattina, Lama Jampal fa la sua pratica. Poi è a completa disposizione di quanti si spingono fin lassù, in cerca di qualcosa a cui non sanno dare un nome.

Chi viene a farle visita?

Veronesi, vicentini, bresciani, veneziani, padovani. Qualsiasi persona può venire qui. Più apri la finestra più ampli la vista. Molti hanno paura di perdere i loro valori, ma se hai il coraggio di aprire, non puoi che arricchirti.

Cosa cercano qui?

La felicità, credo (ride, ndr)

La trovano?

La felicità l'abbiamo già dentro di noi. Applicando gli insegnamenti, si riesce ad intuirla, ma siamo sempre come oscurati dalle nostre emozioni.

Perché non basta la Chiesa e la nostra religione tradizionale?

Capita che a volte sei vicino a qualcuno e lo senti lontano. Invece con qualcun altro, appena lo incontri, è come se fosse da sempre.

Il Giubileo straordinario è dedicato alla Misericordia. C'è un valore simile nella vostra religione?

Certo! Non è semplice pietà, è qualcosa di più radicale. Vuol dire capire la sofferenza di tutti gli esseri senzienti. È sentire il dolore degli altri e decidere di dare una mano.

«Le grandi religioni portano lo stesso messaggio, che è un messaggio d'amore», ha detto il Dalai Lama in un'intervista per il Corriere, è d'accordo?

Karmapa (il suo maestro, ndr) ripeteva sempre che è cosa facile rispondere alla domanda:«Di quale religione sei?». Ma più difficile è scegliere una risposta per questa:«Sei una persona buona?». Prima di nasconderci dietro un nome o un'appartenenza dovremmo guadagnarci la nostra bontà.

Il dolore si può davvero tenere sotto controllo attraverso l'esercizio della mente?

Se un malato non è consapevole della sua malattia, non cerca neanche la cura. La meditazione in tibetano si dice Com, che vuol dire “abituarsi”. Prima devi stare calmo con il tuo corpo poi con la tua parola, infine lo è anche la tua mente. Meditando, la tua mente torna dentro di te. E così, nella consapevolezza, riesci a staccarti dalla tua emozione. Il buddismo ti fa i “raggi x” all'anima. Abbiamo tutto e non c'è pace, perché la pace manca dentro.

Lei c'è arrivato a superare la sofferenza?

No! (ride, ndr).

Sono in cammino, come tutti. Il Dalai Lama ripete sempre che la potenzialità c'è praticando tutti i giorni. Ci sono 84mila insegnamenti, ma ognuno deve trovare il suo. Perché c'è un sentiero per ciascuno.

Anche per chi viene da una tradizione diversa?

Quando si tratta di religione, dobbiamo fare come le api nei giardini fioriti. Prendere il meglio senza rovinare il fiore.