Cultura e spettacoli | 14 dicembre 2013, 14:29

Esplorazioni urbane: un viaggio nel passato

Esplorazioni urbane: un viaggio nel passato

Avventurarsi all'interno di edifici e fabbriche in disuso nelle periferie cittadine è la forma più comune dell'urban exploration, pratica diffusa in tutto il mondo, alimentata da una certa dedizione al rischio e dal culto del passato. L'explorer si introduce nei siti abbandonati dall'uomo per osservare e raccogliere, in un archivio fotografico, le ultime immagini di questi luoghi. Anche Verona ha i suoi esploratori.

“Take nothing but photographs, leave nothing but footprints”. Non fare altro che fotografie, non lasciare altro che impronte. È la legge che vige tra gli Urban Explorer che operano in tutto il mondo: non portare via nulla, non inquinare né alterare con il tuo passaggio il posto che stai visitando. È la raccolta di immagini a conferire un'accezione artistica a quelle che potrebbero definirsi semplici incursioni, ma la filosofia che si può trarre dall'urban exploration è molto più complessa: per prima cosa, l'esplorazione è urbana perché ha senso effettuarla solo all'interno di strutture costruite dall'uomo. Ciò che spinge questa categoria di esploratori è, infatti, la possibilità di penetrare nel tempo lasciato in sospeso da chi, in passato, ha abitato, lavorato e vissuto tra quelle mura. Recuperare mansioni, abitudini, affetti (spesso nelle ex fabbriche si trovano ancora gli uffici, ndr) e conservarne memoria, sotto forma di un archivio fotografico da consegnare al presente quando gli edifici verranno smantellati.

La natura non propriamente lecita di questa attività fa sì che le sue origini rimangano indefinite, ma è possibile individuare senza difficoltà le zone in cui il fenomeno ha preso piede. La città simbolo dell'urban exploration è, non a caso, Detroit. Già sede della General Motors, la capitale del Michigan divenne il centro mondiale dell'industria automobilistica negli anni Cinquanta, ma subì in seguito un tracollo economico di proporzioni leggendarie. Buona parte della città è oggi disabitata e in condizioni di totale degrado, con edifici pubblici, scuole e chiese in decadenza, che offrono spunti di notevole interesse per explorers che si avventurano indisturbati tra i resti della Michigan Central Station, del Farwell Building o di innumerevoli altri siti chiusi dislocati per il suolo urbano.

Altro caso è il Giappone. La rapida industrializzazione che il Giappone ha conosciuto negli anni tra le due guerre ha visto nascere un'enorme quantità di fabbriche, la maggior parte delle quali è stata rasa al suolo o abbandonata più avanti. Il paese continua ad offrire luoghi adatti in conseguenza ai disastri naturali degli ultimi tempi, come lo tsunami che ha distrutto la regione di Tohoku nel 2011. Tra le strutture ispezionate ci sono anche ospedali, manicomi, orfanotrofi, ville, cantieri, depositi treni e centrali elettriche. I più intrepidi si fanno strada persino nelle Catacombe, come Le Carrières de Paris, 280 chilometri di tunnel sotterranei chiusi al pubblico, richiamo per esploratori di città che rischiano volentieri la multa di 60 Euro pur di ammirare i resti conservati in questi cunicoli.

Per raccontare il fenomeno in Italia abbiamo rintracciato le testimonianze di due Urbex (vengono chiamati anche così) che operano proprio sul territorio veronese. La loro attività inizia per caso, una notte di capodanno di due anni fa. Dal retro di un locale di Verona, dove stanno trascorrendo la serata, scorgono la sommità di un edificio abbandonato da tempo. La visione notturna della cupola che lo rappresenta, ammantata di neve, è decisamente suggestiva, e attira la curiosità dei nostri testimoni, che decidono di visitarlo. Prendendo informazioni su internet i due si rendono conto di essere appena entrati a far parte di una vera comunità, vivida anche nel nostro paese «in particolare nel Friuli» raccontano, «dove oggi sono presenti numerose caserme abbandonate, dopo che nel 1945 la regione venne militarizzata nel tentativo di scongiurare un attacco sovietico o dall'ex Jugoslavia». I nostri si adeguano alle regole e partono equipaggiati di torcia e macchina fotografica. «Una delle cose più esaltanti è che quando sei dentro tremi dalla tensione. Sei un intruso, sembra che ci sia qualcuno ad osservarti ovunque. Il filo conduttore di queste esperienze è l'adrenalina» continuano, «il tuo stato psicofisico è come alterato, devi stare attento perché i luoghi dismessi non sono sicuri: pavimenti traballanti, ruggine, buchi nelle mura, nessuna insegna ad indicarti il pericolo, come nella vita reale. Ogni stanza è una scoperta, percepiamo il passaggio di chi era lì prima di noi e ne intuiamo le vite, o le morti: in alcuni uffici c'erano vecchi ritagli di giornale che riportavano le notizie dei caduti sul lavoro, in quelle stesse fabbriche». Luoghi abbandonati, dove la presenza umana è ancora tangibile: calendari rimasti fermi al giorno della chiusura, immagini di santini, programmi musicali negli ex locali, listini dei prezzi in quelli che un tempo erano bar o luoghi di ristoro e, negli uffici, adesivi di squadre di calcio anni Ottanta e oggetti appartenenti a chi occupava quelle postazioni, che ne riportano tratti di personalità. «Ci immaginiamo le persone che hanno lavorato in questi posti, una di loro l'abbiamo soprannominata “la Rosa” perché la sua scrivania era ricoperta da poster di piante e di fiori». Tutto parla del passato, ma il futuro? «Di fronte a certi esempi di architettura di inizio Novecento ti chiedi perché debbano essere abbattuti se è possibile riutilizzarli, magari per scopi sociali o culturali, o comunque a disposizione dei cittadini. Le fondamenta di alcuni siti sono ancora buone, e poi fanno parte del passato della nostra città». E, sempre per rispettare il regolamento dell'urban explorer, al termine di ogni sopralluogo, fino ad oggi circa una decina, anche i nostri si portano dietro scatti di rovine e di ricordi, un bottino di un certo valore: un pezzo di storia di Verona. Da conservare per quando queste strutture non esisteranno più, soppiantate dal nuovo e dal moderno. Come un centro commerciale o un ipermercato.