Cultura e spettacoli | 19 ottobre 2017, 07:29

Il “canzonettaro” timido

Il “canzonettaro” timido

Lui è Leo. Leo Frattini. Leonardo Maria Frattini, per l’esattezza. Di quelle persone che quando incontri per strada sorridi. Perché la loro espressione suscita simpatia. E quando ci parli, stai già ridendo. Lui lo conoscono in tanti nel Veronese. Per anni, con quello stesso charme burlesco, ha suonato nei Nuovi Cedrini. Ha girato dappertutto, ha vinto anche un premio di musica demenziale “San Scemo” a Torino, per poi far parte di altre band e continuare a girare.

Leo ha cominciato a strimpellare da giovane, ma non troppo. «A casa eravamo tutti abbastanza canterini», ci dice. Ma lui preferiva ascoltare la musica, più che suonarla. «Ero onnivoro, ascoltavo di tutto!». Poi all’ultimo anno del liceo ha preso in mano una chitarra. È bastato poco. Subito ha formato un gruppo, in cui era bassista. «Facevamo punk». Dopo pochi mesi era già ovunque a suonare. «Al tempo erano poche le band. Era un periodo fertile», ci spiega. Poi è entrato nella squadra dei Nuovi Cedrini, che proponeva cover italiane, soprattutto parodie, oltre a canzoni proprie. In quegli anni Leo si cimentava negli esami universitari, ma lo studio di economia non era la sua vocazione. Per sua fortuna quello era anche il periodo in cui si stava diffondendo internet, e Leo, smanettando il computer da pioniere, creava le sue prime grafiche per la band, oltre a curarne il sito.

Da allora non ha più smesso. Per dieci anni ha lavorato nel web design, sia nella parte grafica, sia in quella di programmazione. Poi nel 2008 si è messo in proprio. Ma è stato proprio in quel momento che i genitori hanno cominciato ad ammalarsi. Da lì la scelta di stare vicino a loro, e di lasciare la sua band storica, per percorrere nuove strade.

«Ho iniziato a suonare con i Cikita, facendo cover, poi con gli House of all ho sperimentato la musica country». Ma piano, piano si faceva sempre più insistente la voglia di scrivere canzoni sue, sotto il nome di Leonardo Maria Frattini. Da qui, tre anni fa, è uscito il primo album, “Frattinate”.

Un nome che riprende quello della rubrica che il papà teneva su L’Arena, nella sezione della Bassa Veronese. «Il papà - ricorda - faceva umorismo su ciò che avveniva in Comune. A volte la sua ironia non era capita, ma era molto seguito».

Leo ha ereditato di certo quell’umorismo, che oggi si incontra in ogni sua canzone o nel modo di riproporre le canzoni, soprattutto italiane. Lo stesso che gli permette di rendere ballabili i pezzi jazz suonati con la nuova band, i Gengi Ska.

Recentemente Leo si è avvicinato molto anche al mondo dei bambini, «il pubblico più attento ed esigente, per certi aspetti il più difficile». Quindi per nulla un pubblico minore. «È necessario puntare prima di tutto su di loro, per dargli gli stimoli giusti, e per lasciargli bei ricordi». Questo ha spinto il cantautore veronese a prendere parte a un progetto con Pino Costalunga. «Attraverso uno spettacolo, abbiamo riproposto la nascita del jazz, raccontando le favole del periodo degli schivi in America». In questa sua nuova “fase infantile”, come la definisce lui, ha partecipato anche al bando dello “Zecchino d’oro”. È stato tutto un po’ per caso. «Proprio in quel periodo canticchiavo Vado ad Hong Kong, gioco a ping pong contro King Kong, che è molto strong». Allora si è inventato la storia del bambino che vuole suonare il gong, pensando sia semplice. «Una storia per certi aspetti autobiografica». E le soddisfazioni non sono mancate. La selezione, infatti, non è facile. Ogni anno vengono presentate 600 canzoni circa, e per la finale ne passano solo 12. Una di queste era proprio la sua. «È stata una bella esperienza, tanto che quest’anno ho riproposto altre quattro canzoni, che sono state selezionate tra le prime 40».

Il suo flirt con la comicità lo ha spinto a partecipare anche a un programma tv. «Ho fatto un provino ed è andato bene». «Eccezionale Veramente» è una gara di comici. Un modo diverso per comunicare. Sì, perché Leonardo Maria Frattini, strimpellatore di professione, come ci tiene a sottolineare «per non fare torto a chi si applica a uno strumento con serietà», usa la musica come mezzo “giocoso” di espressione, con lo scopo di comunicare e socializzare. Anche e soprattutto su argomenti attuali. Le persone gli dicono «scrivi una canzone su…», e lui lo fa, un po’ come faceva suo padre.

Oggi, mentre ci parla, tiene una chitarra in mano. Il suo basso, quello con cui ha iniziato. Ci riceve nella sua casa, quella dei suoi genitori, ai quali è rimasto legato una vita. Intorno ci fanno compagnia i ricordi, i volti di chi c’era, gli oggetti rimasti lì, ad attendere che il tempo riprenda a scorrere. Lui, protagonista di quel quadro. La sua leggerezza, che sormonta ogni pesantezza del passato. E poi quella frase, «nasco timido. Improvviso». Che dice tutto.