Cultura e spettacoli | 07 giugno 2019, 09:53

L'inno alla corporeità di Galimberti

L'inno alla corporeità di Galimberti

Invitato per destabilizzare la pigrizia mentale, che si appoggia ad idee stantie e consolidate, il filosofo ha indagato il concetto di "anima", partendo dal significato che aveva nella sua origine greca, passando per il cristianesimo, dal mondo islamico e arrivando fino alla rivoluzione scientifica di Cartesio nel '600

"Il nostro corpo è nel mondo, vive ed interagisce e non può essere ridotto ad organismo, ad oggetto scientifico, a un caso". Almeno per quanto riguarda la psiche. Perchè ognuno ha la sua soggettività, che è unica secondo il filosofo monzose Umberto Galimberti, ieri sul palco del Teatro Romano in occasione del Festival della Bellezza. Invitato per parlare dell'anima, il filosofo ha preso le distanze dal mondo moderno per spostarsi alla Grecia Antica di Platone.

"La verità delle parole sta nella loro storia", bisogna quindi partire dagli esordi, da quando la parola "anima" venne al mondo per la prima volta. Ma "per costruire una conoscenza che sia valida per tutti non possiamo fidarci delle sensazioni corporee". Occorre rinunciare al corpo e procedere all'astrazione (parola che in greco significa "che prescinde dal corpo"). E chi è che svolge l'attività di pensiero astratto? I greci la chiamavano Psyché (in greco antico: ψυχή), l'anima.

Una parola che appariva già in Omero, e che resterà nella lingua galoppando nel Cristianesimo, quando "per la prima volta l'uomo si convinse che non sarebbe mai morto. Perchè la sua anima sarebbe resuscitata." Prima, spiega Galimberti, in Grecia c'era l'etica del limite, un limite che si rifletteva anche nella vita con la morte. E di morte ha parlato molto ieri sera il filosofo. Da non cristiano, Galimberti apprezza molto il concetto di limite dei greci, il senso della misura che si raffronta sempre con la morte.

Tutto si rovescia infatti con Agostino d'Ippona, attorno al 400, che introduce il concetto di anima e corpo. "Un colpo grandioso" dice Galimberti.

La concezione di anima è destinata ancora a cambiare, con la rivoluzione scientifica di Cartesio nel 1600.

Quello che poi diventerà la medicina, ha trasformato il corpo in un organismo, ovvero un oggetto da prendere come caso, che è quindi generalizzabile. Ma "questo non si può fare con la psiche", spiega Galimberti rivolgendosi alla psicanalisi, che nascerà poi.

"Il mio pensiero depressivo è diverso da quello di un altro, non può essere generalizzato. Il pensiero dell'uomo non può essere preso come un caso."

In definitiva, conclude Galimberti, la psiche può essere definita come il rapporto tra uomo e mondo.