Cultura e spettacoli | 21 settembre 2018, 17:12

Lo Chagall della Val d’Illasi

Lo Chagall della Val d’Illasi

Adriano Cassini ci apre le porte della sua casa-atelier, invitandoci nel suo mondo, fatto di ricordi d’infanzia, sogni e colori.

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Esiste un mondo ricco di colori, forme, paesaggi, ma soprattutto di ricordi. È un mondo creato con pennelli e olii, un mondo che forse non esiste, ma nel quale si vorrebbe poter tornare. È il mondo dell’innocenza, dell’infanzia, di una vita semplice, gioiosa, vicina alla natura e ai suoi ritmi. È il mondo dipinto da Adriano Cassini, classe 1941, pittore di Cellore di Illasi, noto come lo “Chagall della Val d’Illasi” per le sue atmosfere sognanti, per la pennellata e l’uso dei colori. «Certo, ammiro i grandi pittori - esordisce Adriano Cassini, col sorriso stampato sul viso - ma sono gli altri a definirmi così. Io sono semplicemente io, e a questa età penso di potermi accontentare di come sono diventato, della mia arte, dello spazio che ho per esprimermi. Questo anche grazie a chi mi dà una mano, e a chi mi capisce e mi apprezza. Perché noi artisti – sottolinea con una risata - siamo un po’ diversi dagli altri».

Una diversità, la sua, che si esprime sin da bambino con una grande sensibilità e una straordinaria capacità di dar vita, sulla carta, con colori e matite, a immagini e fantasie. È così che la famiglia, di umili origini, fa di tutto per farlo proseguire negli studi, iscrivendolo all’Accademia di Belle Arti Cignaroli, anche grazie al sostegno di alcune facoltose famiglie della zona e di molti compaesani che lo spronano a continuare negli studi. Per ben 3 anni vince la borsa di studio “Dall’Oca Bianca”, senza immaginare che, anni dopo, nel 1992, avrebbe esposto alla Biennale di Venezia proprio accanto al celebre concittadino.

Gli anni dell'infanzia passati in campagna, tra gli affetti familiari, pur segnati dalla perdita della madre, Adele, nello scorrere lento e naturale di una vita contadina semplice e autentica, restano ancora oggi una delle principali fonti di ispirazione delle sue opere. Si ritrovano così, sulle sue tele, paesaggi rurali, trattori, i colori caldi dell’estate e del grano, le tinte vivaci dei fiori, il viola della vendemmia, e alcuni elementi più soggettivi, ma molto ricorrenti: «la sedia blu, ricordo di una seggiolina di quando ero bambino, che porto sempre nel cuore», la gabbietta con gli uccellini, la zampognara, reminiscenza di quella bimba «che suonava così bene». Non è solo, Adriano Cassini, nel suo percorso artistico: da 25 anni lo condivide infatti con la pittrice padovana Betty Pignotti, in un connubio artistico molto fecondo, pur nella diversità di stili (più manierista lei, più naïf lui), che ha visto nascere murales a quattro mani (uno su tutti, quello creato per la Cantina Sociale di Soave) e che li vede spesso esporre insieme. Sebbene siano le tele lo strumento più utilizzato da Cassini, qualsiasi oggetto può diventare adatto alla sua arte.

Basta un giro nella sua casa-atelier di Cellore, dominata da quel caos tipico della creatività più estrema, per osservare come anche un piattino da caffè o la tovaglietta di carta di un ristorante possano diventare supporti su cui creare uno schizzo, per fermare quell’urgenza d’arte che spesso lo travolge. L’atmosfera di sogno e di innocenza, che spesso ritorna nei suoi dipinti, fa sì che le sue opere siano apprezzate sia da collezionisti ed esperti d’arte, sia dalla gente più semplice. Non è un caso che si possa trovare un Cassini sia nella sede di rappresentanza di una banca, che nel salotto di un allevatore. È una forma di arte democratica, la sua, che appassiona tutti, per la sua immediatezza e per la sua fantasia. «La natura è bella – spiega l’artista, mentre accarezza Jacopo, l’amato cagnolino, spesso presente nelle sue opere - ma bisogna anche interpretarla, trasformarla, togliendole gli aspetti troppo duri, troppo crudi. Solo così si crea la magia».