Cultura e spettacoli | 06 maggio 2019, 12:42

Quelle ali che avevamo: la primavera, il volo degli uccelli e i nostri decolli

Quelle ali che avevamo: la primavera, il volo degli uccelli e i nostri decolli

Nell’antica Roma il volo degli uccelli era considerato profetico al punto tale che alcuni sacerdoti, chiamati àuguri, avevano il compito di osservare gli uccelli per interpretare i messaggi provenienti dalla direzione del loro volo, dal loro canto o dal fatto, ad esempio, che si presentassero da soli o in uno stormo.

Finita l'epoca romana, comunque, il mistero del volo degli uccelli e la simbologia legata ad alcuni di essi, si è perpetrata nei secoli e, in diversi casi, è rimasta viva fino ai nostri giorni. Questo nonostante gli studi scientifici abbiano saputo spiegare come il volo sia “solo” il risultato di una serie di azioni meccaniche che, però, ancora oggi l'uomo non può imitare se non attraverso dispositivi molto complessi.

Per il mondo contemporaneo, quindi, il volo conserva il fascino doloroso di ogni sogno irraggiungibile. Scienziati e appassionati appartenenti a diversi settori hanno tentato nei secoli di superare i limiti della gravità e di svelare i segreti dell'aerodinamica, affidandosi a congegni e macchine di vario tipo, sperimentando aquiloni, mongolfiere, paracaduti, alianti, dirigibili, elicotteri, fino ad arrivare ad aeroplani sempre più potenti. Ma l'uomo no, l'uomo sembra fatto solo per la terra, come gli alberi e fiori, o come certi uccelli che hanno disimparato a volare perché privi di predatori intenti ad inseguirli.

Eppure, certi uomini e certe donne, a volte, sembrano far riemergere un'antica memoria. Pensiamo, ad esempio, ai danzatori e a certi atleti: librandosi nell'aria, essi riportando in vita un tempo e uno spazio in cui gli esseri umani erano un tutt'uno con il Creato inteso come uno e indissolubile, senza distinzioni tra ciò che è del cielo e ciò che è della terra. Ecco, guardando loro, per un attimo, si ha la certezza che l'umanità sia figlia di un angelo caduto a cui hanno strappato le ali, lasciandolo in balia del desiderio inesausto di volare.

Per questo non dobbiamo stupirci se talvolta, per strada, incontriamo esseri umani che se ne vanno con il capo rivolto verso l’alto, lo sguardo acceso e febbrile, alla ricerca di un segno, di una cura per il dolore sordo che procurano loro quelle cicatrici che rigano la loro schiena, là dove una volta erano attaccate le loro ali. Ogni uomo che non si sia arreso a rinunciare a questo sogno, terrà lo sguardo aggrappato al punto più alto del cielo, per nutrirsi ancora di bellezza, e per catturare ogni minuscolo messaggio proveniente dal volo degli uccelli.

Così, nei cieli di Verona, in questa primavera che è sopraggiunta piano, si potranno veder sfrecciare come ogni anno le rondini che portano con sé gli odori acerbi della nuova stagione, e stendono nel cielo un azzurro ingenuo e fanciullesco. Il canto degli usignoli rimbalzerà tra le nuvole sopra piazza Bra che si sveglia sempre più presto, e fremerà il pettirosso tra le foglie croccanti dei parchi cittadini che rinverdiscono; poi si udirà lo schiocco dei merli e dei tordi tra gli sbadigli dei faggi della Lessinia e dei suoi vaj che ritornano a gorgogliare; qualche fringuello fischietterà tra gli sguardi assonnati dei cipressi dei nostri cimiteri, mentre più lontano si sentiranno le valli veronesi cinguettare sempre più forte. E lassù, le vette del Carega e del Baldo, dopo essersi tolte la bareta de lana bianca, si offriranno a falchi e aquile.

Le rondini che verranno a nidificare sotto i nostri tetti e ci parleranno di vita che si rinnova, così come ci porterà allegria il canto del mattino dei fringuelli e delle allodole, ci infonderà forza e potenza il volo del falco, ci faranno tremare un pochino i versi sordi di gufi e civette, e forse ci turberà il gracchiare nero e minaccioso del corvo.

Ognuno di loro, ogni fremito del loro volo, ci farà trasalire, vibrare, stupire. Non sia mai che vengano a (ri)portarci un paio di ali. Anche di seconda mano, anche con le piume sciupate e lise. Non importa. Saranno di gran lunga più preziose di quelle scarpe firmate a cui avvinghia lo sguardo chi, andando per le vie, ha smesso di affidarsi al cielo.