Cultura e spettacoli | 29 ottobre 2014, 18:00

Salute e benessere: i rischi dei Pain Killer

L’abuso di farmaci oppioidi di prescrizione medica, i cosiddetti pain killer” (PK) è divenuta un’epidemia negli Stati Uniti. Basti pensare che nel 2010 il numero di soggetti abusanti si aggirava attorno ai 2.4 milioni, con un aumento del 225% tra il 1992 e il 2000. Nel 60% dei casi questi farmaci sono ottenuti con ricette mediche, il resto viene reperito ormai attraverso internet dove è sempre più facile ottenere farmaci. Ma quest’ultima è una conseguenza, non certo la causa.

Il problema è nato dalla penna dei medici. Una prima problematicità riguarda alcuni pazienti affetti da dolore cronico, con uso eccessivo di oppioidi di prescrizione. Un aspetto più preoccupante, segnalato dagli Stati Uniti, è la “tracimazione” dei PK dai pazienti affetti da dolore ai loro familiari, soprattutto agli adolescenti, con un incremento spaventoso dei casi di intossicazione acuta trattati dai Pronto Soccorso.

Un terzo fenomeno, non trascurabile, è la dipendenza “da rientro” che l’uso incauto di PK può causare negli ex-eroinomani usciti dai trattamenti dove l’uso, anche episodico, di un antidolorifico oppioide ha risvegliato craving ed indotto un abuso di PK.

Una riflessione sulla dipendenza iatrogena da PK è importantissima in quanto fenomeno destinato ad aumentare in tempi brevi.

Questo problema, in America, è stato alimentato da un cambiamento, negli ultimi anni, nella filosofia del trattamento del dolore cronico, cosa che sta avvenendo da noi solo recentemente.

Il dolore è il più grande nemico dei malati, annienta la loro dignità, spegne la volontà di combattere la malattia. Il dolore va affrontato con ogni mezzo a nostra disposizione. Però, c’è un però.

Nella società vi è una diffusa convinzione che “tutta la sofferenza possa essere evitata”. Oggi molti pazienti pensano che qualsiasi tipo di dolore, fisico o mentale, sia potenzialmente curabile. Il fatto che gli analgesici oppioidi possano dare dipendenza e, peggio, assuefazione (intesa come il bisogno di aumentare sempre più le dosi per ottenere lo stesso effetto iniziale) viene visto come un elemento secondario, spesso non valutato. La maggior parte dei pazienti che dovrebbero soffrire il meno sono soggetti affetti da dolore cronico (low back pain, fibromialgia, cefalea ecc.), con un’aspettativa di vita normale.

Il recente cambiamento culturale nella Medicina e nella società riguardo al dolore rappresenta una risposta all’esperienza soggettiva del dolore dei pazienti, complicata dall’aumento della prevalenza di sindromi dolorose croniche in una popolazione che invecchia sempre di più. Anche se tale cambiamento ha giovato a molte persone con dolore intrattabile che prima sarebbero state curate incongruamente, esso ha avuto conseguenze devastanti per i pazienti che hanno sviluppato dipendenza e, peggio ancora, tolleranza per prescrizioni disinvolte di farmaci oppioidi.

L’obiettivo sarà raggiunto solo quando la Dipendenza sarà considerata una malattia dalla medicina e dalla società, perché solo allora essa sarà trattata come legittimo oggetto dell’attenzione clinica. La triade “ignoranza, pressione culturale contro il dolore “ad ogni costo” e facilità prescrittive” ha già ha visto quintuplicare le richieste d’aiuto negli ultimi 2 anni presso i reparti di Medicina delle Dipendenze.

E’ importante che la patologia “dipendenza da uso di sostanze” sia diffusa tramite eventi quali seminari, convegni e sia affrontata in particolare nei corsi di laurea e nelle scuole di specializzazione, al fine di riconoscere i pazienti a rischio di abuso ed i segni precoci da abuso per poter intervenire in tempo.

Giovanna Pirana