Cultura e spettacoli | 14 ottobre 2013, 10:06

Stress: quando vero e quando no?

Quando ci troviamo alle prese con un nuovo incarico lavorativo, un esame all’università, o altre sfide quotidiane, mettiamo alla prova noi stessi e le nostre capacità. Siamo costantemente sottoposti a ritmi serrati, e il “sentirsi stressati” è una condizione comune a molte persone. Ma il termine stress è talmente abusato, che ci si trova ad utilizzarlo anche quando le situazioni non lo richiedono. Per aiutarci a comprendere meglio una questione così intricata, parliamo con Isabella Mannucci, psicoterapeuta specialista in psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Francesca Merli

Isabella, quando è corretto parlare di “stress” e quando non lo è?

Si

utilizza questo termine per situazioni molto diverse tra loro, alcune molto

difficili, altre per quella che è la normale reazione di fatica e stanchezza,

soprattutto mentale, quando affrontiamo cambiamenti e stimoli che ci sottopone

la vita. Innanzitutto dovremmo distinguerlo dallo “stimolo”. Un nuovo incarico

di lavoro, una nuova missione da portare a termine, sono stimoli. Dove c’è

stimolo, c’è la nostra reazione di adattamento, la nostra risposta, e

l’organismo si attiva psichicamente e fisiologicamente. Aumenta il cosiddetto

“livello di allerta”, e il corpo si sente attivato per reagire. Il mio cuore

batte più veloce, la pressione arteriosa aumenta, e posso avere una tensione

muscolare data dal mio attivarmi, ma non necessariamente significa che io sia

stressato. A volte però capita che gli stimoli siano molti, o che alcuni di

essi siano particolarmente dannosi. Un licenziamento improvviso, purtroppo

attuale in questo periodo difficile, è una pressione dannosa, uno “stress

negativo” specialmente per gli aspetti psicologici che comporta. In questo caso

dunque, nonostante io senta di avere le risorse per poter reagire ad uno

stimolo così negativo, è l’ambiente esterno a non consentirmi di farlo. Lo

stress negativo compare quando il mio stato di attivazione e la mancata

risposta dall’esterno, persistono per troppo tempo.

In caso di “stress negativo”, c’è una

relazione con eventuali disturbi che si verificano nel nostro organismo?

È

difficile rispondere con certezza, ma è certo che con l’aumento della mia

reazione di attivazione che mi spinge a fare qualcosa e una mancanza di

risposta dall’esterno, ho un fattore stressante con cui fare i conti e

un’impossibilità ad agire. L’organismo tenta di resistere, producendo una

quantità di ormoni e spendendo più energie possibili per poter continuare a

farlo. A questo punto però, si sacrificano le forze utili alle altre attività

fisiologiche del nostro corpo, che vengono concentrate tutte in una sola

direzione. Si crea così un notevole scombussolamento fisico, e l’esaurimento

delle energie comporta una serie di disturbi, come quelli gastrici.

È stata fornita una spiegazione medica

all’insorgere di questi disturbi?

Un

medico austriaco, Hans Selye, endocrinologo, aveva studiato lo stress dal punto

di vista fisiologico, utilizzandolo per indicare la risposta dell'organismo a

uno stimolo negativo, noto anche come "stressor". Negli anni Trenta,

si servì di sperimentazioni sui topi per dimostrare che c’è un’effettiva

relazione tra sollecitazioni esterne, “stressor”, e risposte interne

dell’organismo. Ad esempio un mal di testa da tensione, è uno dei disturbi più diffusi

e ha a che fare con tensioni di tipo muscolare, che incorrono in situazioni di

un’eccessiva pressione dall’esterno. Siamo un organismo in cui mente e corpo

sono la stessa cosa, non ci possiamo scindere. La componente fisica è

rilevante, e fare sport è importante perché con l’attività fisica il corpo che

la mente sente teso, si rilassa. Agisco sulla tensione corporea, e allento

quella mentale.

Si può parlare di “stress soggettivo”?

C’è chi soffre maggiormente di altri in situazioni stressanti?

Non

c’è una categorizzazione in questo. Ci sono svariate tipologie di stimoli, che

per qualcuno possono essere nocive, per altri no. Il fattore del controllo

conta molto. Ognuno di noi ha risorse diverse, sia personali che sociali, che

forniscono strumenti per far fronte alle situazioni e controllarle al meglio.

Capire dove sta il nostro punto di sovraccarico è indispensabile per conoscere

i propri limiti. Dovremmo considerarci come un termometro, dove 0 è l’assenza

di ansia e 100 è il panico. Per funzionare bene si dovrebbe stare tra 20 e 50,

in modo che la nostra mente possa funzionare bene e avere l’energia giusta.

Oltre il 50, scatta il panico.

C’è una sorta di “vergogna” nel

riconoscersi limitati di fronte a un problema?

Sì,

è molto frequente. Si arriva a sentirsi inadeguati, ad avere qualcosa di

sbagliato rispetto alle altre persone. Ma non c’è nulla di sbagliato nel

riconoscere il proprio limite, e ciò che invece comunemente facciamo è

sovraccaricarci da soli. Diamo troppo poco tempo a noi stessi, e forse bisognerebbe

pensare sempre al nostro benessere, concedendoci più spazi.