Editoriali | 06 marzo 2022, 09:51

L'editoriale di Pantheon 130

L'editoriale di Pantheon 130

Ci aspettavamo al massimo una ennesima prova di forza, e invece, questa volta, il presidente Vladimir Putin è andato ben oltre ogni più raggelante previsione. Nemmeno i messaggi di allarme lanciati dall’intelligence americana, che poche ore prima dell’attacco sferrato all’alba del 24 febbraio da parte dell’esercito russo nei confronti di Kiev avevano preannunciato un pesante attacco militare, sono stati presi in seria considerazione da parte di noi europei e di noi italiani.

Gelido, cinico, spietato, Putin ha scelto di colpire ai fianchi l’Europa e di generare un caos istituzionale, politico, economico, civile e militare a cui non eravamo più abituati. Certo, negli ultimi decenni abbiamo assistito allo scoppio delle guerre del Golfo, all’intervento in Afghanistan, al conflitto in Iraq, situazioni percepite lontane dal nostro vivere quotidiano, anche se non meno violente e drammatiche rispetto a ciò che sta accadendo, e che potrebbe accadere, a Kiev con la morte e l’esodo di civili, donne, uomini e bambini.

Nemmeno la guerra dell’ex Jugoslavia, seppur a poche centinaia di chilometri dal nostro Paese, aveva avuto un impatto globale di queste dimensioni, forse perché quel conflitto era nato e si è deciso, per lo più, tra i popoli e le etnie interne ai Balcani stessi.

Qui la presa di posizione, con relativa avvisaglia nucleare (inquietanti le parole di Putin che minaccia azioni mai viste prima nella storia in caso di intromissioni esterne), è di una delle forze militari più potenti al mondo, seconda solo, forse, agli Stati Uniti. Le eventuali conseguenze di un allargamento del conflitto verso l’Europa sono inimmaginabili e anche per questo le forze NATO, fino a questo momento, scelgono una linea attendista. Quello che è certo è che il mondo, da oggi in poi, non sarà più lo stesso, tornano gli spettri di una guerra fredda e speriamo rimanga, nella peggiore delle ipotesi, tale.

Lo sguardo e l’interesse della Russia, ma anche dell’Europa (e degli Stati Uniti) al paese guidato dal presidente Volodymyr Zelenskyj si giustificano, al di là di ogni più banale retorica patriottica, dalla presenza nel paese ucraino di vasti giacimenti di carbone, localizzati nel bacino del Donec, e di minerali di ferro. Un territorio in cui si estraggono manganese, magnesite, ilmenite e rutilo, uranio, grafite, zolfo, sale, gesso e torba. L’Ucraina è anche territorio di transito di un’estesa rete di gasdotti strategici verso l’Europa e grazie ai suoi 15 reattori distribuiti nelle quattro centrali di Yuzhnoukrainsk, Rivne, Khmel’nyts’kyi, Zaporizhzhia non manca neppure l’energia. Tanti, troppi gli interessi economici in ballo, corroborati da una posizione strategica che di fatto rappresenta una porta da est a ovest, o da ovest a est, di cui tutti, Russia, UE, e USA, vorrebbero possedere le chiavi.

Intanto gli effetti di questo conflitto si ripercuotono sull’economia interna con i prezzi del gas e dei prodotti agroalimentari, in primis i cereali, che schizzano clamorosamente verso l’alto. Preoccupate anche le 893 le imprese scaligere complessivamente coinvolte nell’interscambio commerciale con la Russia (dati della CCIAA di Verona) che nel 2020 hanno generato un valore dell’export pari a 227.526.580 euro (832 aziende) e un import per 118.267.927 euro (61 aziende).

L’UE ha messo in piedi un pacchetto di sanzioni per contenere la tracotanza del presidente Putin, il quale però sembra essere del tutto indifferente, anche perché sa di avere le spalle coperte dall’amica Cina.

Ora servono nervi saldi, anche da parte di ognuno di noi. Compattezza nel condannare ciò che sta accadendo e fiducia nelle forze diplomatiche affinché una delle più grandi minacce dal secondo Dopoguerra ad oggi possa risolversi in fretta.

Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la Quarta sì: con bastoni e pietre.

Albert Einstein

 

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