Cultura e spettacoli | 02 aprile 2020, 15:13

Il Barocco che ci fece rinascere dopo la peste

Il Barocco che ci fece rinascere dopo la peste

Il quadro forse più conosciuto è Verona implora la Trinità per la cessazione della peste che Antonio Giarola eseguì nel 1636 su commissione del Consiglio della Città e attualmente ancora esposta nella cappella della Madonna nella chiesa di San Fermo Maggiore. L’opera rappresenta un ex voto e colpisce per la drammaticità della composizione che presenta cadaveri di uomini e donne semi nudi in primo piano mentre la personificazione della città di Verona implora dolorante la fine della peste. Sullo sfondo, uno scorcio del paesaggio urbano. Un fermo immagine della urbs picta dei primi decenni del XVII secolo. Sebbene vi sia ancora una certa influenza dei modi bolognesi, l’arte di quel periodo stava evolvendo verso uno stile poi definito barocco

L’EREDITÀ DI UN DOLORE COLLETTIVO

Non è un caso che l’inizio cronologico coincide proprio con la fine di quel periodo pestilenziale, mentre il termine ultimo si fa risalire al 1750. Sebbene si conosca ancora poco dell’arte barocca veronese (a causa soprattutto della critica, più favorevole a gusti di tradizione classicistica) non mancano le produzioni artistiche, architettoniche e letterarie. Tra queste ultime sono da ricordare Gran contagio di Verona scritto nel 1631 dal medico e filosofo veronese Francesco Pona (il cui racconto della peste influenzò la stesura dei Promessi Sposi di Manzoni) e l’Historia di Veronadi Lodovico Moscardo in cui sono riportate notizie su persone, fatti, edifici e opere d’arte nel 1668.

In architettura celebri sono Palazzo Carlotti, costruito a partire dal 1666 su progetto di Prospero Schiavi, situato all’angolo tra corso Cavour e via Diaz, e Palazzo Muselli, della nota famiglia di collezionisti, rimaneggiato nel corso dei secoli e ora sede della Banca d’Italia. A livello pittorico vi sono produzioni di notevole effetto compositivo come la Madonna della cintura con due santi Vescovi collocata nella chiesa di San Martino ad Avesa e l’Adorazione dei pastori con due committenti visibile nella chiesa di San Tomaso Cantuariense, forse opera di Sante Peranda.