Cultura e spettacoli | 18 febbraio 2022, 09:48

L’opera di Antonio Canova che Verona si lasciò sfuggire

L’opera di Antonio Canova che Verona si lasciò sfuggire

Quest’anno si festeggia il bicentenario della morte di Antonio Canova. E anche noi lo ricordiamo raccontando i due appuntamenti che lo hanno visto protagonista a Verona: prima per una commissione avuta dalla città scaligera e poi per un soggiorno, di cui vi racconteremo nel numero di marzo.

Il primo avvenimento risale al 1799, quando, poco più che quarantenne, Canova era ormai un affermato artista. Verona era sotto il Sacro Romano Impero e il 5 aprile era riuscita a sconfiggere l’esercito francese. Per celebrare quella vittoria il Governo della città volle erigere un monumento all’imperatore Francesco II da posizionare in piazza Bra e il nome che si fece, per commissionare l’opera, fu quello di Canova. La prima lettera partì il 4 maggio in direzione Possagno, sua città natale, dove in quel momento risiedeva. La risposta fu rapida e arrivò tre giorni dopo: lo scultore riferì che era oberato di impegni e dichiarò, quindi, che con estremo dolore avrebbe dovuto rinunciare «all’onore di collocare una mia opera in quella città che, oltre ad aver dato tanti distinti uomini nelle lettere e nelle scienze, ha dato ancora tanti celebri artisti di prima classe».

Propose allora l’acquisto di un Ercole e Lica (iniziato per Onorato Gaetani dei principi d’Aragona che poi ritirò l’incarico). Verona poteva vedervi la sconfitta dell’Impero francese aggiungendo dei bassorilievi sul piedistallo. La risposta della città fu positiva e l’artista scrisse nuovamente il 19 maggio suggerendo come prezzo 3mila e 500 zecchini veneti, esclusi imballaggio e trasporto. Per i bassorilievi indicò il nome di Cignaroli (probabilmente lo scultore Diomiro, fratellastro di Giambettino), ma Verona non volle delegare ad altri, così l’artista acconsentì a realizzarne non più di due. Accordatisi sul soggetto, sul prezzo e sull’esecuzione, purtroppo arrivò la comunicazione che l’imperatore non acconsentiva al proseguimento della trattativa per non pesare sulle casse della città. L’opera fu così acquistata l’anno successivo da Giovanni Raimondo Torlonia, noto banchiere romano, e ora si trova esposta nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, mentre Verona perse l’occasione di avere un suo capolavoro.