| 17 febbraio 2021, 12:32

Forti, anzi fortissimi

Forti, anzi fortissimi

Finivamo sempre tardi in studio, ci perdevamo a volte in mille chiacchiere sull’architettura. Il campanello suona, è Ilaria la figlia dell’Architetto Giorgio Forti, la vedo di sfuggita, lascia qualcosa a suo padre e scappa via. Sta frequentando la prima liceo scientifico e come tutti gli adolescenti in quel momento ha mille pensieri per la testa, non ancora il mestiere.

«Ilaria farà l’architetto da grande? - chiedo curiosa e con affetto - Mah…non lo so, l’importante è che faccia ciò che le piace e con passione». Quella passione che l’architetto Giorgio Forti ha sempre messo in ogni suo progetto, idea, o impresa, con una testardaggine che lo portava spessissimo a stare in studio fino a sera tarda, con la signora Paola, la moglie, che lo chiamava in studio - allora non c’erano i cellulari -  per rimproverarlo e dirgli di tornare a casa che s’era fatto tardi.

Eravamo una piccola squadra. Erano gli anni novanta, io una giovane architetto appena laureata, alle prime armi, con tanti sogni in tasca e l’illusione di cambiare il mondo, insieme a me c’erano altri giovani colleghi; erano i tempi del Piano del colore di Siena, dei libri sugli intonaci e dei restauri al Duomo si Verona, occasioni per discutere, a volte anche litigare, sui principi dell’architettura; a pensarci, quanto mi mancano quei momenti dove il confronto e lo scontro tra idee e sogni erano pura creatività, che facevano tanto bene al cuore ed alla mente. Altri tempi, quelli in cui l’architetto aveva qualcosa da dire. Ed era ascoltato.

Ho conosciuto Ilaria che stava finendo le scuole medie, più entità astratta che persona fisica, più dalle parole del padre che, ogni tanto, mi diceva «Sai, Ilaria oggi ha fatto questa ricerca storica - oppure - chissà se tutto questo un giorno Ilaria lo apprezzerà…».

E Ilaria non solo lo ha apprezzato, ma lo ha capito, lo ha portato avanti, con la stessa testardaggine e passione del padre, e con la sua tenacia di donna forte e determinata, appassionata e passionale, assetata di bellezza, di eleganza e di cose buone, di giustizia, quel senso di “utile” che l’architettura ha come natura e che trasmette ad ogni architetto, perché architetti si è, non si fa.

Ilaria Forti si è laureata allo IUAV a Venezia (Istituto Universitario Architettura) ma si è anche specializzata alla Scuola di restauro dei beni architettonici del paesaggio al Politecnico di Milano ed ha iniziato una proficua carriera universitaria vincendo un assegno di ricerca che l’ha portata anche in America alla biennale di architettura di Chicago, con un occhio e un piede ogni tanto nello studio del padre.

E, come abbia fatto non so, come se i muri dello studio avessero incamerato racconti, disegni, sudore, passione, ha respirato quelle discussioni, quei progetti; sicuramente fin da bambina ha vissuto toccando il potere immaginifico dell’architettura attraverso il padre, ma è da donna adulta che si è resa conto della sua struggente bellezza, quella di un mestiere che non fa sconti che ti chiede l’anima, sudore e fatica, sacrificio, per donarti alcuni momenti di estasi assoluta.

Ilaria ha dovuto, qualche anno fa, abbandonare i sogni di una carriera universitaria e prendere in mano non solo le redini dello studio Forti, ma anche i cantieri in essere, e non tutti semplici: una malattia per molto tempo ha costretto Giorgio a stare in disparte per molte cure, e per conseguenze che ancora oggi lo tengono spesso lontano dai cantieri, mai dall’architettura.

Ilaria ha preso in mano il cantiere di restauro della chiesa dei Carmelitani a Venezia - da sola, come solo una Forti può fare - ha dovuto fare scelte difficili, a certi livelli, affrontare la patina del tempo come limite o come risorsa, scegliere collaboratori, decidere logiche e metodologie, e in qualche modo anche “dirigere” suo padre, avendolo sempre accanto, seppur non presente. Un cantiere di restauro può fare molta paura, ma questa non è contemplata nei Forti.

Così, per quel cantiere, per se stessa e per suo padre, ha vinto la medaglia d’oro Domus restauro per il 2019/2020, direi non poco come inizio. Anzi, da andarne fieri, come padre, come veronesi, come colleghi; e anche io, che non c’entro nulla, ma per un qualche strano legame affettivo che tra noi è sempre rimasto (per vero abbiamo in comune anche una passione sfrenata per le borse di una certa stilista americana) sono orgogliosa di questa donna che è cresciuta sapendo diventare eccellenza, facendosi ponte tra padre e figlio, quel piccolo Giorgio jr che, chissà, se sarà architetto da grande, perché l’architettura è fatta di persone, non di cose.

Ilaria e Giorgio Forti, anzi fortissimi.

In Breve