Storie di persone | 27 luglio 2022, 11:25

Alessandro Beverari, un talento veronese a Tokyo

Alessandro Beverari, un talento veronese a Tokyo

Dossobuono – Ginevra – Tokyo, solo andata. È questo il viaggio che il clarinettista classe 1988 Alessandro Beverari ha intrapreso ormai da qualche anno e che lo ha portato, inevitabilmente, lontano da casa. Partito subito dopo aver terminato gli studi al conservatorio di Verona, Alessandro ha fatto tappa a Ginevra, dove si è diplomato al Conservatorio Superiore, e alla fine è approdato nel Sol levante, dove risiede tutt’ora ricoprendo il prestigioso ruolo di primo clarinetto della Tokyo Philharmonic Orchestra. Alessandro, che potremmo definire senza timore un “genio” della musica, è uno spirito libero: ci ha raccontato che, secondo lui, «fare il musicista professionista in Italia è molto difficile», ma ogni tanto nella sua Verona ci torna e quest’anno l’occasione è stata il concerto organizzato dalla Gaspari Foundation lo scorso maggio. Al momento non è previsto un biglietto di ritorno definitivo, ma come si dice? Mai dire mai.

Alessandro, quando ha iniziato a suonare il clarinetto?

La mia famiglia abita a Dossobuono. Lì c’è una banda e all’età di nove anni la mia famiglia ha visto che amavo la musica e mi piaceva suonare il pianoforte. Così mi hanno iscritto alla scuola di musica. Inizialmente ho studiato pianoforte, però poi nella banda non potevo suonarlo e quindi mi

hanno dato il clarinetto. Ho iniziato così, per divertimento. Poi dalla banda sono passato al Conservatorio di Verona, dove ho fatto i miei studi fino ai 21 anni. La mia più importante formazione è stata al Conservatorio Superiore di Ginevra, dove ho vissuto quattro anni. E l’anno dopo che mi sono diplomato a Ginevra, sono partito per Tokyo.

Come mai ha deciso di andartene dall’Italia? Per opportunità o perché non vedeva un futuro?

Sono andato via dall’Italia perché non riuscivo a vedere la luce alla fine del tunnel. In Italia, quando ero più giovane, vedevo più speranze e poi ne ho sempre viste meno. Così ho cercato di abbattere le mie barriere, in tutti i sensi, non solo territoriali e di andare in cerca di nuovi insegnanti, concorsi e concerti.

Sta imparando il giapponese?

La mia orchestra abbastanza impegnata. Però cerco di ritagliarmi sempre, durante l’anno, dei

periodi per imparare il giapponese. Quindi vado a scuola di giapponese la mattina e poi nel

pomeriggio vado al lavoro. È una lingua che mi affascina molto…

E come si trova a Tokyo?

La grande fortuna è che sono nella capitale del Giappone. Tokyo ha un sacco di opportunità e la città è grandissima, ma allo stesso tempo offre un sacco di servizi per la persona. Quindi inizialmente è stato un po’ difficile, ma poi sono riuscito sempre di più a creare delle relazioni interpersonali. Adesso posso dire che la collega che suona vicino a me il fagotto nell’orchestra è come se fosse mia sorella.

Se tornasse indietro di una decina di anni, avrebbe mai pensato di arrivare dove è ora?

No, assolutamente. Ma rifarei tutto. Sono molto felice e devo dire, dopo cinque anni, che il mio desiderio di costruire qualcosa in Giappone è sempre più grande. E a Tokyo ora non lavoro solo con l’orchestra: insegno all’università il clarinetto, ho i miei concerti di musica da camera, faccio lezioni private e lavoro anche con altre orchestre.

Come è stato tornare a Verona per un concerto con l’orchestra “L’Appassionata”?

Tornare a Verona per fare questo concerto è stato veramente un piccolo miracolo, se vogliamo, perché già il fatto di tornare a Verona per la musica era già una bellissima opportunità che mi è stata data. E poi ho avuto il piacere di conoscere questa nuova realtà che è nata a Verona da qualche anno, l’Orchestra “L’Appassionata”. Ho passato quattro giorni bellissimi nei quali ho conosciuto un gruppo di ragazzi fantastici.

E adesso il suo futuro come lo vede?

Spero di continuare a fare quello che sto facendo con un po’ più di tempo per me anche per studiare. Per esempio, mi piacerebbe molto studiare il pianoforte, imparare a improvvisare. Mi piacerebbe anche avere una famiglia e magari cercare di riavvicinarmi un po’ all’Italia. Però se fra dieci anni fossi ancora in Giappone non sarei sicuramente triste.