Storie di persone | 19 agosto 2019, 12:41

Con la fascia ti porto sul cuore: il Babywearing tra mode e bisogni

Con la fascia ti porto sul cuore: il Babywearing tra mode e bisogni

Per capire qualcosa in più su questo fenomeno, abbiamo chiacchierato con Margherita Chiappini, istruttrice veronese di Portare i Piccoli, che dal 2000 si occupa di diffondere la cultura del “buon portare” a livello nazionale. «In realtà non è nulla di nuovo» esordisce Margherita. «Così si faceva prima dell’avvento del passeggino, e così fanno ancora oggi molte popolazioni nel resto del mondo. Portare non è solo un modo per trasportare il proprio figlio; significa far proseguire quella vicinanza fisica, fatta di battiti e respiri, che c’era durante la gravidanza, avvolgerlo in un abbraccio di stoffa che ricorda quello dell’utero materno; è un modo per prendersi cura del proprio bambino e accompagnarlo nello stare al mondo». 

Ma come si porta? «Sono tre le posizioni utilizzabili» prosegue l’istruttrice. «Davanti, con il bambino girato verso il petto del portatore, dalla nascita fino ai 6 mesi circa (attenzione: mai fronte mondo, una posizione sempre scorretta perché non rispetta la cifosi del bambino e lo espone a troppi stimoli); sul fianco, dai 2-3 mesi in su, e sulla schiena, indicativamente dai 4 mesi in poi. Ogni posizione rappresenta una tappa nello sviluppo del bambino. La prima è la posizione “dell’incontro”, che protegge e avvolge. La seconda è quella “del dialogo”, in cui portato e portatore si guardano in faccia. La terza è la posizione del “tu mi segui”: il portatore non ha più il controllo visivo sul bambino e diventa la “base sicura” da cui questo può guardare il resto del mondo». La posizione che il bambino deve mantenere all’interno del supporto è simile a quella che assume quando viene preso in braccio e appoggiato sul fianco: la cosiddetta posizione “ a M”, in cui il culetto si trova in basso e le ginocchia più in alto. Questo fa sì che il peso del corpo sia distribuito uniformemente e non vada a scaricare sui genitali.

I supporti, prosegue Margherita, si dividono in strutturati, semi-strutturati e non-strutturati. «Gli strutturati sono i marsupi, utilizzabili dai 4 mesi in su, e gli zaini da montagna. I marsupi “tradizionali”, quelli cioè con la base stretta, non sono ergonomici perché non rispettano la posizione a M; lo sono invece quelli il cui pannello di stoffa va da un cavo popliteo all’altro. Nemmeno gli zaini da montagna, pesanti e scomodi, sono ergonomici. I supporti semi-strutturati sono il mei-tai (un pannello di stoffa con 4 fasce di origine orientale) e le ring, ovvero le fasce monospalla con anelli, che si usano per portare solo sul fianco, consigliate a partire dai 3-4 mesi. I non-strutturati sono la fascia elastica, ovvero un telo in jersey utilizzabile in sicurezza solo fino ai 7 kg di peso del bambino, e la fascia rigida, un telo tessuto ad armatura diagonale, 100% cotone o in vari blend. È il più versatile, il solo che si adatta totalmente alla corporatura di chi porta e alla crescita del bambino, utilizzabile per tutto il percorso, dalla nascita fino ai 2-3 anni».

Ovviamente bisogna imparare a usarlo in maniera corretta. Per questo, prendersi del tempo fisico e mentale per entrare nel mondo del “buon portare” è molto importante. «L’istruttrice – spiega Margherita - accompagna la famiglia nella conoscenza dei diversi supporti e nel loro utilizzo autonomo, dando anche la possibilità di provarli e capire quali sono i più adatti alle proprie esigenze». Portare in fascia, insomma, nonostante alcune paure assolutamente infondate («così non impara a camminare!», «in quel coso non respira!», solo per citarne due), sembra non avere controindicazioni, se non quello di creare “dipendenza”… soprattutto nei genitori: una volta iniziato, infatti, è impossibile farne a meno. Parola di mamma portatrice!

 

https://www.youtube.com/watch?v=6IdEQXNC4ls&t=50s