Storie di persone | 10 novembre 2020, 15:17

Espen e Pantheon, insieme per raccontare Verona

Espen e Pantheon, insieme per raccontare Verona

Un occhio attento alle storie locali: è proprio questo filo rosso “del destino”, per citare l’omonima leggenda orientale, che ha avvicinato Espen a Pantheon, l’unico mensile cartaceo di Verona, che dal 2008 osserva, raccoglie e condivide le storie del territorio e le peculiarità che contribuiscono a definirne l’identità e darne un valore aggiunto. Obiettivo, unire alla penna di chi racconta con sensibilità il tratto di chi guarda e percepisce qualcosa di diverso, di unico.

A tratteggiare il profilo dell’illustratore è proprio lui, Espen, che ai nostri microfoni ha ricordato le origini del suo amore per le matite, i colori e i fogli di carta, e la strada percorsa per perfezionare le tecniche, affinare lo stile e affermarsi come professionista.

Giorgio, partiamo dall’inizio: perché ti sei appassionato al disegno?

«Ho sempre disegnato, fin da piccolo. La mia maestra delle elementari - che oggi ha più di 90 anni - ha ancora le mie “opere” e le ricorda con affetto. Lo stile era rudimentale, “fai da te”: anche i miei compagni di classe disegnavano, però sono l’unico che ha continuato senza mai mollare. Penso di essere stato influenzato anche, in parte, da mio padre, che collezionava i Topolini e lavorava alla Mondadori: però credo che sia una passione che si ha dentro e deve essere risvegliata. L’importante non è essere “il più bravo”, ci sono molti artisti più bravi di me: quello che veramente conta è non smettere, continuare a insistere, perché solo così si possono aprire delle porte».

Oltre all’impegno costante, quali sono i segreti per affinare le tecniche e migliore il proprio stile?
«Sicuramente, guardare tanto e copiare, copiare, copiare. Io ho fatto così, ho sempre osservato molto, soprattutto le tecniche degli altri illustratori, cercando di cogliere tutto quello che si può. Il miglior modo per imparare a disegnare è studiare sotto l’ala di un importante maestro; ci sono anche le scuole di fumetto, è vero, ma non è la stessa cosa. Lo stile poi vien da sé e dipende molto da come uno si sente: le tecniche sono molte, manga, figurativo, astratto, si può scegliere tra un’ampia varietà. Il disegno, è sempre disegno: devi osservare qualcosa e cercare di riprodurlo».

 


Quali sono i tuoi maestri di riferimento?

«È difficile rispondere, di maestri ne ho avuti tantissimi e ne avrò ancora molti, perché non si finisce mai di imparare e di perfezionarsi. Quando ho cominciato il mio percorso da illustratore, mi piaceva particolarmente Jacovitti, perché i suoi disegni erano carichi, ricchi di dettagli: quei tratti hanno influenzato e colmato anche le mie opere attuali. Con il tempo mi sono avvicinato anche a Guido Crepax, con Valentina, e poi Manara, che è stato un grandissimo maestro: sono convinto che anche solo guardando le sue tavole si possano scoprire tantissime cose. Ho avuto anche il piacere di conoscerlo di persona e di frequentarlo, mi piace come lavora, anche se è molto diverso da come procedo io: solitamente disegno a matita, china e porto con me i pennarelli in ogni occasione. Però alla fine coloro a computer, perché di base sono un grafico: ritengo che la colorazione digitale sia più veloce, lavorare a strati ti agevola molto e ti permette di ottenere una grande varietà di risultati da mettere a confronto».

Le tue principali fonti d’ispirazione? Ci sono dei temi che tendi a proporre più frequentemente?


«Sono un disegnatore scaligero, Verona è tra i soggetti che preferisco: ho anche realizzato il libro illustrato “Verona e le sue bellezze”, che contiene due storie a fumetti: una ambientata sul lago di Garda e una dedicata alla Valpolicella, dove ho vissuto per 10 anni. L’elemento che contraddistingue il mio stile, e che ritengo sia fondamentale inserire in un’opera,  è una presenza animata: può essere una ragazza, un ragazzo, un animale, una coppia d’innamorati o un gruppo di amici, una famiglia. Raffigurare un essere vivente, che agisce in un background preciso, è il mio tratto distintivo».

Cosa bisogna fare per diventare illustratori professionisti? Quali sono i consigli di Espen ai giovani che vogliono intraprendere questa strada?

«Disegnare il più possibile e, ribadisco, copiare:  a scuola ci dicono di non farlo, invece nel disegno copiare le tavole degli artisti che ci appassionano e analizzare come sono state fatte è davvero utile. Bisogna, innanzitutto, cercare di risalire agli schemi di base, allo schizzo in matita (su YouTube si trovano moltissimi tutorial) e studiarne i passaggi, anche sfruttando i lucidi. Prendiamo in considerazione, per esempio,  Moebius: è un disegnatore francese, per certi versi, unico, che si contraddistingue per uno stile futurista e dai colori sgargianti. Il disegno in bianco e nero di Moebius è fatto tutto a trattini: analizzare tecniche così particolari, e provare a riprodurle, è molto più proficuo che limitarsi a disegnare senza seguire alcun criterio. L’invito è quello di soffermarsi, di andare in profondità: penso sia questa la via giusta per trovare il proprio metodo. Per concludere, voglio salutare tutti i lettori di Pantheon, che per dieci numeri saranno accompagnati, oltre che dalle storie del territorio, anche dalle mie tavole. Spero possano essere motivo d’ispirazione».