Storie di persone | 11 dicembre 2019, 16:23

Il direttore d’orchestra è un po’ vigile urbano, un po’ poeta

Il direttore d’orchestra è un po’ vigile urbano, un po’ poeta

38 anni, originario della montagna veronese, Bosco Chiesanuova per la precisione, indiscusso talento, dall’eclettica personalità, Matteo Valbusa è stato perfino protagonista, come professore di musica corale, nel reality Il Collegio, in onda su Rai2.

Da

dove nasce la sua passione per la musica?

Ho iniziato studiando pianoforte da piccolo, un po’ spinto

dai genitori che mi hanno sempre incoraggiato tantissimo. Poi, quando avevo 17

anni, ho scoperto la musica corale. Al termine di un saggio di pianoforte c’era

un coro che cantava, il più bel coro che avessi mai sentito fino ad allora.

Sono stato folgorato! Cosi dal giorno dopo, ho iniziato a studiare e sono andato

anche a cantare in quel coro. Si tratta del Coro della Scuola Diocesana di

musica sacra di Santa Cecilia, qui a Verona.

E

poi?

Nel 2000 ho fondato il mio coro che ho ancora, sorride (ndr)

l’Insieme Corale

Ecclesia Nova e nel 2003 ho iniziato a dirigere anche il Coro

Maschile La Stele e, successivamente anche il Coro Marc’Antonio Ingegneri, in

un repertorio che va dalla polifonia antica alla musica contemporanea. Nel

frattempo ho studiato in conservatorio e all'Università e mi sono diplomato in

direzione di coro e in direzione d’orchestra. Sono anche direttore artistico

del Festival Internazionale Voce! di Bosco Chiesanuova (dove sono nato e cresciuto) e

del Festival Dodekantus

di Verona.

La

musica è formazione continua…

Studiare è fondamentale e continuerò per tutta la vita,

perché per noi è così.

E la

direzione d’orchestra?

Diciamo che, negli anni ho conosciuto una ragazza che adesso

è mia moglie. Era, ed è, una persona appassionatissima di musica sinfonica e di

opera. Grazie a lei ho iniziato a studiare direzione d'orchestra. Insomma ho

avuto un altro colpo di fulmine.

Dirigere

un coro e dirigere un’orchestra, quali sono le differenze sostanziali?

Diciamo che ci sono dei gesti direi tecnici, degli schemi

che servono a tenere il tempo in entrambi i casi. Sono come un vigile urbano

che fa passare le macchine al momento giusto, sono dei gesti standard. Oltre a

questo però dobbiamo prestare attenzione a far cantare o suonare nella maniera

più bella. Quindi, quei gesti diventano carichi non solo di tecnica ma di

poesia. Poi, di fatto, il Coro e l'Orchestra hanno bisogni differenti.

All'orchestra serve un accompagnamento molto puntuale, preciso, sempre

coinvolgente e poetico. La cosa più importante è far andare assieme un grande

gruppo di persone professioniste. Per il coro invece il gesto è un sostegno per

le voci, che funzionano col fiato, con l’aria, per cui si deve badare alla

continuità.

Come

ha vissuto l’esperienza di dirigere il Coro della Fondazione dell’Arena di Verona

che ammalia persone da tutto il mondo, durante la stagione estiva?

Per me è stato un vero onore. Sono stato lusingato di

ricevere la chiamata della Sovrintendente Cecilia Gasdia per sostituire, per un

periodo, il maestro del Coro dell’Arena al Teatro Filarmonico di Verona. Era

venuta a sentirmi ad un concerto dell’Insieme Corale Ecclesia Nova e si è ricordata di me.

Nelle due produzioni, Fuoco

di gioia dove ci tengo a ringraziare la bravissima pianista Patrizia

Quarta e Elisir d’amore,

il coro ha lavorato benissimo, abbiamo costruito un ambiente di lavoro sereno e

un rapporto professionale veramente di alto livello. Preparare e dirigere il

Coro dell’Arena è un sogno che si avvera.

Non

è facile dirigere quando si è giovani, che qualità le riconoscono?

Credo in primis la preparazione. Tutte le esperienze che ho

raccolto in questi vent’anni, non solo a livello musicale ma anche culturale e,

nel rapporto con le persone. Come seconda cosa: la leadership. Bisogna saper

trattare le persone con gentilezza e con autorevolezza insieme. Non a caso,

spesso i direttori d'orchestra e di coro vengono chiamati per tenere corsi

leadership ai manager, ho fatto anche questo, sorride (ndr).

Ci

parli della sua parentesi televisiva, su Rai2…

Un giorno, mi hanno telefonato per dirmi se volevo fare una

cosa nuova, originale, era la prima edizione del Collegio, questo programma- reality in

cui c'erano studenti adolescenti di oggi catapultati agli inizi degli anni Sessanta.

È

stata una bella esperienza e sono rimasto colpito dalle incredibili

professionalità che scrivono questi programmi tv.

La

musica ha un ruolo sociale, di legame con il territorio?

Con i cori si lavora a stretto contatto con la gente dei

paesi e della città, si è vicini alla realtà delle persone. Si va nelle chiese,

nei teatri: le attività sono molte, grazie anche al volontariato dei coristi

amatoriali. La musica dei professionisti è ancora un po’ lontana e dipende

anche dalla lungimiranza delle amministrazioni. C’è bisogno di aiuto, di

sensibilità politica, che tenga alla cultura, alla storia e all'unicità del

proprio Paese. Spesso mi accorgo che Paesi come gli Stati Uniti, il Nord Europa

e la Cina investono tantissimo in musica e noi, che siamo la patria dell'Opera

lirica (che cantano in italiano in tutto il mondo), siamo in grande difficoltà.

Secondo

lei che sforzo si può fare?

Il mondo della musica professionistico ha la necessità impellente di aprirsi al grande pubblico e lo deve fare oggi utilizzando, non solo i mezzi tradizionali, ma la tecnologia, i canali informatici, i social network. È bene che il mondo della musica investa in tecnologia per farsi conoscere ai più giovani perché non deve rimanere un mondo d’elite.

 

https://www.youtube.com/watch?v=8VjLH-2kY4o