Storie di persone | 02 marzo 2020, 10:44

«Il nostro lavoro è far avvicinare il più possibile il rischio allo zero»

«Il nostro lavoro è far avvicinare il più possibile il rischio allo zero»

La pandemia, reale o presunta, del cosiddetto Coronavirus, che fino ad oggi ha causato più di 3.000 decessi nel mondo (41 in Italia), i più concentrati in Cina, Paese da cui sarebbe partito il virus, sta provocando tensioni, ansie e paure tra le persone e tra i governi di tutto il mondo. Molti Stati tra cui l’Australia, la Russia, gli Stati Uniti, per citarne alcuni, hanno ristretto le possibilità di accesso ai cittadini cinesi, altri anche agli italiani. Lo stato di allerta e agitazione si è diffuso, come sappiamo, anche in Italia, sia dopo i primissimi casi di contagio accertati in Lombardia, e poi via via nelle altre regioni, tra cui il Veneto, sia dopo i primi decessi. Ad oggi non esiste un vaccino, ma tra le tante notizie che interessano il Coronavirus ce ne sono anche di positive: martedì 18 febbraio, ad esempio, per la prima volta le persone guarite dal Covid-19 in Cina avevano superato il numero di nuovi contagi giornalieri. L’altra buona notizia, comunicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sempre in quei giorni, riguarda il rapporto tra contagi e guarigioni: come spiegato da Michael Ryan, capo del programma dell’Oms, «la maggior parte dei pazienti, oltre l’80%, contrae una forma molto lieve del Coronavirus, tale da permette la guarigione in un paio di giorni».
Noi abbiamo chiesto un approfondimento alla professoressa Evelina Tacconelli, ordinaria di Malattie infettive all’Università di Verona, direttore dell’Unità di Ricerca Clinica DZIF dell’Università di Tübingen, in Germania e già docente di Malattie Infettive, per sette anni, alla BIDMC and Harvard Medical School di Boston, negli Stati Uniti.

Professoressa, cosa sappiamo fino a questo momento del Coronavirus? In primis dal punto di vista scientifico.
Il Covid-19 non è un virus completamente nuovo, fa parte di una famiglia di virus che conosciamo già da molti anni e che si chiamano così perché hanno una corona attorno al nucleo centrale, ben visibile quando si osservano al microscopio. Come la Sars o la Mers di qualche anno fa, anche questo Coronavirus è responsabile di infezioni dell’apparato respiratorio che possono andare dal semplice raffreddore alla faringite, dalla sinusite fino alla polmonite.


Come si distingue un raffreddore da un principio di Coronavirus?
Questa è una delle criticità che abbiamo, perché nella fase iniziale sono difficilmente distinguibili. Noi diciamo sempre che è utile vaccinarsi per l’influenza in un periodo di Coronavirus perché, anche se la vaccinazione per l’influenza con copre l’infezione da Coronavirus, permette tuttavia al medico una valutazione più serena avendo meno pazienti da controllare. Lo stesso medico può effettuare una diagnosi più rapida e limitare i casi reali di contagio.

Sembra che il virus sia partito dalla Cina. La comunità internazionale lamenta ritardi di comunicazione da parte del Paese asiatico.
Quello che ci dice oggi la Cina è molto di più di quello che ci veniva detto fino a qualche anno fa. È vero che c’è stato un ritardo, ma io, in maniera un po’ critica, mi chiedo: se l’Italia avesse avuto un problema simile (quando nessun caso si era verificato in altri Paesi), siamo certi che la trasmissione delle informazioni sarebbe stata fatta entro sette giorni? Ho qualche dubbio. Credo, invece, che la Cina stia facendo un lavoro enorme per tutti gli altri cercando di arginare il problema.

Dobbiamo preoccuparci seriamente, oppure la situazione è sotto controllo?
Noi infettivologi lavoriamo con tranquillità e applichiamo con attenzione tutti i protocolli concordati con la Regione e il Ministero. Al momento non sono registrati casi a Verona, ma la nostra allerta per una diagnosi precoce è massima. Credo che i cittadini debbano fidarsi della serietà con cui le Aziende Sanitarie stanno lavorando per ridurre al minimo l’esposizione a casi sospetti.

E quindi, cos’è che può tranquillizzarci?
Il fatto che abbiamo delle conoscenze solide nel campo della trasmissione delle Malattie Infettive e viviamo in un Paese ad un'economia tale che ci permette di fare un buon controllo della trasmissione e che dispone di strutture di supporto alle cure estremamente avanzate. Se la stessa domanda mi fosse stata fatta in un altro Stato, avrei dovuto dire probabilmente che c'è qualche motivo in più per essere preoccupati, perché non potremmo arginare i possibili contagi come invece si sta facendo in Italia.


Com’è la situazione in Veneto?
Nel Veneto l'organizzazione è attiva ed è stata estremamente seria, la Regione non ha preso assolutamente sottogamba la questione. Io ho lavorato in Germania nel periodo di diffusione dell’Ebola e le procedure che stiamo seguendo oggi rispecchiano il modus operandi di allora, che ha dato ottimi risultati.


Quali sono i sintomi più evidenti per i contagiati da Coronavirus?
All’inizio sono esattamente quelli di un raffreddore, anche se c’è una piccola percentuale di persone che potrebbe avere dei sintomi diversi, ad esempio febbre e sintomi gastrointestinali precedenti al raffreddore stesso.


Cosa ci può far sospettare, inizialmente, che si tratti di contagio?
Il fatto di essere stati in un’area endemica oppure no. Se in questo momento la persona che mi arriva in pronto soccorso non è mai stata nelle zone a rischio (che includono ovviamente le zone “rosse” del Veneto e Lombardia), le probabilità che sia contagiata sono basse. Importante sottolineare che monitoriamo comunque la situazione anche in pazienti con infezioni severe nei quali non è stato possibile effettuare una diagnosi.


Da quel che ci risulta ci sono stati casi di presunto contagio in Italia per trasmissione in contesti di quotidianità, come a cena in un ristorante o altro, in presenza di cosiddetti “portatori sani”.
Se la domanda è se esiste il rischio zero e che nessuno di noi venga mai in contatto con i virus, beh devo dire che il rischio non è zero quando attraversa la strada, non è zero quando prende un'aspirina perché potrebbe avere una reazione allergica di cui non è a conoscenza, non è zero quando non mette la cintura al bambino in auto. Cioè, ognuno di noi una minima dose di rischio quotidiana ce l’ha. Il nostro lavoro è quello di far avvicinare il più possibile il rischio stesso allo zero, anche se lo zero assoluto in medicina non esiste. Per quanto riguarda la trasmissione del Coronavirus rimane comunque la necessità che secrezioni del malato si siano trasferite al soggetto sano tramite via aerea (entro 1 metro) o tramite contatto (stretta di mano dopo aver starnutito o tossito) ed il soggetto sano porta quella mano a contatto della bocca, naso od occhi.


Ci sono delle fasce d’età o dei soggetti più a rischio? Ci sono delle precauzioni che tutti potremmo prendere?
Dall’analisi dei dati che abbiamo in questo momento, e qui devo utilizzare il condizionale, sembrerebbe che le persone più anziane siano quelle con un rischio maggiore. I bambini, meno. Quello che possiamo fare per proteggerci da tutta una serie di malattie virali è l’igiene quotidiana. Dal modo di starnutire al lavaggio frequente delle mani, che continua ad essere essenziale.


La mascherina?
Una mascherina normale non protegge dall’acquisizione del Coronavirus. Le mascherine in commercio sono diverse ed ognuna ha una sua specifica funzione. Alcune possono proteggere la trasmissione da A a B, ma non il contrario. Ad esempio, il paziente che ha la varicella mette sul viso una maschera di un certo tipo per non trasmettere la malattia ad un altro, io medico che entro in una stanza ho una mascherina diversa perché devo proteggere il flusso nel senso opposto. La mascherina chirurgica di colore verde che viene venduta adesso protegge l'emissione da chi è fonte del virus verso l’esterno e non viceversa.


Che tempi possiamo ipotizzare per la scoperta di un vaccino?
Sul fatto che verrà trovato un vaccino non ho dubbi, sulla tempistica, mi dispiace dirlo, la differenza la fa l'interesse economico. Come lei sa, oggi non abbiamo un vaccino per la malaria, ma abbiamo un vaccino per tante altre patologie. È ovvio che chi dovesse produrre una cura per il Coronavirus adesso ne avrebbe un immediato beneficio economico. Sui tre mesi ipotizzati su qualche giornale e sui social, è chiaro che siamo di fronte a una bufala, ma penso che in 12 o 18 mesi si arriverà ad avere in mano il vaccino anche per il Covid-19.

 

https://www.youtube.com/watch?v=CBkdvc0t5p8&feature=youtu.be