Storie di persone | 06 luglio 2021, 10:14

Il provveditore scolastico Amelio: «Alziamo la saracinesca sul futuro»

Il provveditore scolastico Amelio: «Alziamo la saracinesca sul futuro»

È l’uomo nuovo del panorama istituzionale scaligero. Sessant’anni, venti dei quali spesi come dirigente al Ministero dell’Istruzione, dallo scorso 20 aprile Sebastian Amelio è a capo dell’Ufficio scolastico territoriale di Verona. Una laurea in filosofia ottenuta all’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con lode, il neo provveditore ha scalato tutte le posizioni previste all’interno della scuola partendo dal ruolo di docente, di dirigente scolastico, di dirigente tecnico, di dirigente del ministero nella sfera dell’istruzione degli adulti e dell’apprendimento permanente e ora alla guida dell’UTS n. VII del Veneto.

Sua l’idea di costituire, lo scorso 9 giugno, l’Osservatorio Scolastico Veronese, un organismo inter-istituzionale di incontro e confronto che vede la partecipazione, oltre all’ Ufficio Scolastico Provinciale, anche Comune, Provincia, dirigenti e insegnanti insieme per il potenziamento dell’intero sistema scolastico, a tutti i livelli. Abbiamo incontrato il dott. Amelio nel suo ufficio di Viale Caduti del Lavoro 3 a Verona.

Dott. Amelio, ad aprile il suo insediamento A Verona. Qual è stato il suo primo impatto con la città?

Innanzitutto quello di non arrivare in una città a me estranea. Nei 20 anni in cui ho lavorato al Ministero dell’Istruzione ho imparato a conoscere questo territorio, ad apprezzarlo, a lavorare con professionalità eccelse e quindi l’impatto non è stato quello di chi varca la soglia per la prima volta. Devo aggiungere, poi, che ho avuto una garbata e gradita accoglienza da parte di tutte le principali autorità civili, religiose e militari della città e non solo, che mi ha restituito una gradevole dimensione di famigliarità.

Ha avuto qualche incontro più “tecnico”?

Certo, ho incontrato anche le parti sociali, in primis le sigle sindacali e le organizzazioni imprenditoriali, nonché la Rete dei presidi.

Quali sono le impressioni che ha avuto?

Ho raccolto un forte bisogno di consolidare le relazioni tra le parti coinvolte, di stabilizzare i momenti di confronto, in qualche misura di condividere scelte e azioni che possano sostenere lo sviluppo e il potenziamento del sistema scolastico veronese, che presenta senz’altro grandi eccellenze. Inoltre ho avuto conferme sui punti di forza e di debolezza che già conoscevo, e ho apprezzato un grande senso di appartenenza delle istituzioni sul tema scuola, una presa in carico reale di quello che è, e deve essere, un asse strategico della città.

Anche per questo bisogno è nato l’Osservatorio Scolastico?

L’Osservatorio non fa che tradurre quel bisogno che mi è stato presentato e che ho condiviso, ossia quello di istituzionalizzare il momento del confronto, della condivisione e della gestione partecipata e di farlo puntando l’attenzione su alcune questioni che sono state evidenziate da più parti.

Ossia?

Partiamo, ad esempio, dal cosiddetto Sistema integrato 0-6. Verona, con i suoi dati anagrafici e scolastici, consegna elementi significativi su questo segmento, che tuttavia va consolidato e pensato per uno sviluppo in linea con le attese. Altro tema è il rafforzamento del rapporto scuola-lavoro: viviamo in un territorio dove il tessuto imprenditoriale è tra i più interessanti del nostro Paese e a maggior ragione il raccordo con la scuola deve essere organico e strutturale, non episodico o saltuario. Infine, la questione giovanile: qui a Verona il tema ha una doppia faccia, da una parte esprime un’eccellenza, una capacità di coinvolgimento del volontariato con numeri che nessun altro territorio possiede, e dall’altra fa emergere alcuni fenomeni di sofferenza di alcuni target di giovani che preoccupano molto la società. Mi riferisco alle “baby gang”, anche se il nome non mi piace. Dai primi incontri che ho avuto ci si è posti la questione se l’Osservatorio dovesse occuparsi anche di questa criticità non solo dal punto di vista della patologia, quanto dal punto di vista più generale di una questione giovanile.

E cosa pensa?

Tra i tanti effetti, tra le tante sfide che il Covid ci pone e ci porrà c’è quello del prenderci cura delle nuove generazioni. Il nuovo piano europeo, declinato nel PNRR nazionale, va in quella direzione.

Perché, secondo lei, c’è questa sofferenza più o meno latente nei giovani di oggi?

Non sono uno psicologo, ma penso di poter dire che uno degli elementi che consegna i giovani a una solitudine estrema, relegandoli poi in posizioni di appartenenza a branchi per potersi sentire meno soli, è il fatto che a differenza delle generazioni precedenti è calata una saracinesca sul loro orizzonte. C’è poco spazio per i loro sogni e quindi emergono soltanto bisogni. Affrontare il tema delle “baby gang” significa affrontare il tema del futuro, rialzare proprio quella saracinesca. Non è facile, ma è un impegno che dobbiamo assumerci.

Tornando al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Osservatorio si occuperà anche di questo?

Ci poniamo l’obiettivo di mettere in campo un piano coordinato di azione per dar vita a delle iniziative scolastiche che magari già esistono, ma che non sempre sono comunicanti tra loro, con il rischio di frammentazione o, peggio, di sovrapposizione, e di farle curvare affinché incrocino il PNRR, in particolare nei suoi punti cardine: innovazione tecnologica, transizione ecologica e inclusione sociale. In questo momento storico abbiamo una grande opportunità per ricostruire il Paese e la scuola non può rimanere fuori, relegata a un ruolo di comparsa. La scuola è un hub fondamentale per il rilancio, ma lo è nella misura in cui sa orientare la propria azione in direzione di quegli stessi asset che abbiamo appena citato.

Avete già fissato un calendario di incontri?

Abbiamo un cronoprogramma di incontri mensili già pianificato fino maggio 2022. Fino ad ottobre 2021 ci sono le riunioni comprensive di ordine del giorno.

Veniamo da due anni molto difficili per la scuola, ragioniamo ora in vista di settembre.

Innanzitutto saprete che il ministero ha promosso il Piano estate per consentire un riallineamento di livelli di competenze, conoscenze e socialità che potrebbero essere stati compromessi dall’emergenza Covid. L’auspicio è che si riaprirà sicuramente, anche se ci sono delle preoccupazioni sulle varianti di cui non conosciamo gli sviluppi, quindi dobbiamo essere ottimisti, ma prudenti. Dovremmo essere pronti anche con il cosiddetto piano “B”. Qui a Verona puntiamo al rientro in presenza con massima attenzione al nodo trasporti che è molto sentito.

Lei ha appena iniziato il suo piano triennale, quali sono gli obiettivi che si è posto e si pone?

Innanzitutto quello di assicurare ciò che è nelle competenze dell’Ufficio scolastico territoriale di Verona, ovvero fare in modo che le operazioni dell’avvio dell’anno scolastico vengano svolte nel migliore dei modi e nei tempi più rapidi possibili: parliamo della definizione degli organici, della mobilità, della gestione delle graduatorie, delle immissioni in ruolo, dell’affidamento di supplenze annuali…insomma, un pacchetto che rappresenta obiettivo fondamentale per l’ente che dirigo. Colgo l’occasione, tra l’altro, di ringraziare la squadra di professionisti che ho l’onore di dirigere perché in tempi ristretti, in condizioni assolutamente sfavorevoli, in numeri ridotti stanno portando a casa quello che ora è umanamene possibile. Lavorano più del dovuto ed è bene che la città sappia che senza questo impegno le attività citate prima non sarebbero possibili.

Altro obiettivo?

Sostenere le scuole nella programmazione didattica, sostenere il sistema scolastico nel suo sviluppo, nel suo potenziamento, nella sua capacità di costruire offerte formative sempre più coerenti, coordinate e congrue con il presente, e su questo aspetto spero che i prossimi tre anni possano consolidare la rete degli attori che abbiamo avviato con l’Osservatorio.

Torneremo alla normalità?

Anche questo termine non mi piace. La storia ci insegna che le pandemie sono ricorrenti e che esiste un mondo prima la pandemia e un mondo dopo la pandemia. Quello che viene e che abbiamo costruito dopo è completamente diverso da quello precedente. La pandemia ha una dimensione catastrofica, però ha anche una dimensione generativa. Dobbiamo essere all’altezza di una dimensione generativa.

Cosa intende?

Non si tratta di capire se saremo in grado o meno di tornare a scuola. Si tratta di capire che la scuola che dobbiamo frequentare dovrà essere necessariamente una scuola nuova, perché è cambiato il mondo. Io sono un mero funzionario, il mio contributo può essere quello di essere un facilitatore di rapporti, di raccordi, di alleanze, di riflessioni e far in modo che questa sfida venga affrontata.

Cosa serve quindi?

Occorre stringere a Verona un patto di rigenerazione della città, del suo sistema scolastico, ma non perché la scuola che c’era prima non andasse bene. Rigenerare significa dare nuova linfa, dare nuova vitalità, dare nuove opportunità, nuovi orizzonti, dobbiamo alzare tutti quanti la famosa la saracinesca.