Storie di persone | 12 marzo 2021, 12:04

L'impresa femminile: sensibilità e visione

L'impresa femminile: sensibilità e visione

Il primo passo del gruppo è stata la creazione di un ciclo di webinar gratuiti sull’educazione finanziaria. «Inutile dire che la donna ha poco accesso al credito se non è formata in materia, per avere un rapporto con le banche, conoscere il proprio rating e leggere il proprio estratto conto - commenta Frasca -. Solo formandosi si acquisisce potere di contrattare».

Il mondo dell’imprenditoria femminile segna oggi il 15% dell’occupazione nel privato, con oltre 1,3 milioni di imprese all’attivo, tante e diverse fra loro. Anche per questo motivo allo studio del gruppo c’è un nuovo pacchetto formativo ad hoc, possibile grazie ai fondi stanziati dall’Unione Europea per l’imprenditoria femminile. «Ad oggi si parla di 40 milioni di euro, ma ne arriveranno molti di più. Come gruppo facciamo parte del “Comitato Impresa Donna”, un tavolo del MISE che ha lo scopo di disegnare le linee guida e formulare raccomandazioni per l’utilizzo dei fondi».

Proprio in fase di discussione al tavolo è emerso un problema non indifferente, ovvero la mancanza di una definizione univoca a livello europeo di imprenditoria femminile. Ad oggi in Italia, con la legge 215 del 1992, vengono riconosciute come imprese femminili le società cooperative e le società di persone costituite in misura non inferiore al 60% da donne, le società di capitali dove almeno i 2/3 delle quote sono detenute da donne e nelle quali l’organo di amministrazione ne è composto per almeno i 2/3, le imprese individuali gestite da donne e le lavoratrici autonome, incluse le libere professioniste. Nel resto degli stati membri?

«In Italia, ad esempio, non consideriamo nella definizioni di impresa femminile il numero di dipendenti donne; se questo fosse un requisito valido a livello europeo, rischieremmo di portare a casa meno fondi. Per questo serve delineare e definire in maniera esatta cosa sia l’impresa femminile e ci attiveremo per farlo anche attraverso un’interrogazione parlamentare europea».

Una volontà ferma che nasce dalla consapevolezza di essere nel momento favorevole ad un possibile cambio di paradigma. «In 50 anni abbiamo fatto passi da gigante, basti solo pensare che negli anni ’70 vigeva ancora il delitto d’onore. Siamo ancora lontani dalla parità di genere, ma questa è un’evoluzione civica e sociale che deve partire dall’educazione, quella scolastica in primis. Prima ancora, dobbiamo riuscire a conciliare famiglia e lavoro, un traguardo ancora troppo lontano».

Questa la prerogativa per garantire un combattimento ad armi pari: la madre deve avere la possibilità di appoggiarsi a strutture e avere dei sostegni economici per crescere i figli, senza dover rinunciare alla carriera o al lavoro. «Non sottovalutiamo ciò che una donna può portare sul posto di lavoro, in termini di sensibilità e di visione. Uomo e donna vedono le cose diversamente ed è il lavoro di squadra la soluzione vincente, che oggi ancora manca. Finché non raggiungeremo questa parità culturale forse le quote rosa hanno senso di esistere».