Storie del territorio | 14 marzo 2019, 13:31

Cosa ne sarà di Costagrande?

Cosa ne sarà di Costagrande?

 Il centro di accoglienza di Costagrande - comune di Grezzana - chiuderà a fine marzo. Che ne sarà della grande tenuta? Dove andranno i richiedenti asilo rimasti?

LA GRANDE TENUTA di Costagrande, ubicata sulla collina ad ovest al confine tra Grezzana e Avesa cambierà volto. Il CAS (il Centro di Accoglienza Straordinaria) dei migranti di Verona il 31 marzo 2019 chiuderà i battenti. Che ne sarà di questa grande struttura? Il proprietario Pietro Delaini, di recente, ha dichiarato alla stampa «non c’è ancora nulla di definitivo. Stiamo studiando un progetto di riqualificazione». Al momento nessun progetto è stato presentato al Comune di Grezzana. Due le ipotesi che circolano nel paese della Valpantena: la «trasformazione dell’area a vitigno autoctono o la riconversione a centro di ritrovo e vacanza per studenti, sportivi e famiglie».

L’ultima ipotesi, la più gettonata, sarebbe un grande ritorno sulla collina ancora incontaminata. All’inizio del nuovo millennio, infatti, Don Antonio Mazzi a Costagrande con la Fondazione Exodus, aveva avviato il progetto Università della Famiglia, nel quale venivano organizzati, nei fine settimana «eventi educativi nel contesto familiare», con l’intervento anche della Regione Veneto. Don Mazzi, all’epoca, aveva riassunto così l’esperienza «a Costagrande si sperimenta la dimensione del vivere uno accanto all'altro in una situazione di accettazione e di rispetto reciproco». Lo scopo? Aiutare la famiglia a superare le difficoltà di coppia e con i figli.

Nel 2014 la tenuta di proprietà del Collegio Universitario Don Nicola Mazza, venne rilevata dall’imprenditore Delaini. Nel 2015 è diventata il principale punto di accoglienza dei richiedenti asilo della provincia. Nei momenti clou Costagrande ha ospitato anche 500 migranti, adesso ne sono rimasti poco meno di un centinaio. A Grezzana alcuni di questi richiedenti asilo hanno effettuato lavori socialmente utili e si sono fatti benvolere in paese (ve ne abbiamo parlato su Pantheon 97, ndr).

Che fine hanno fatto queste persone? Alcuni provvisti di protezione internazionale, definita «sussidiaria», hanno ottenuto il permesso di soggiorno di cinque anni e se ne sono andati volontariamente perché hanno trovato un lavoro e hanno potuto affittare un appartamento (spesso vicino alla sede del lavoro) in cui andare a vivere.

Parecchi se ne sono andati spontaneamente in altri Paesi europei, dove già risiedono i loro parenti ed amici. Altri, con la mediazione della Prefettura, hanno trovato posto in altre strutture in provincia. In questi giorni sono in programma altri trasferimenti, quelli rimasti (una sessantina) saranno distribuiti nei diversi centri più piccoli attivi nel Veronese.

È RISAPUTO COME le nuove normative, introdotte dal decreto Sicurezza, siano più restrittive anche per i migranti che già si trovano in Italia. È stata abolita la terza forma di protezione, quella umanitaria (in vigore dal 1998) che permetteva brevi permessi di soggiorno, fino ad un massimo di due anni. Protezione sostituita con «permessi di soggiorno speciale», che verranno rilasciati per specifiche situazioni (vittime di violenza domestica, grave sfruttamento lavorativo, cure mediche).

Inoltre non è più previsto l’obbligo per i richiedenti asilo della conoscenza dell’italiano che è «la base per l’integrazione con le comunità in cui vivono. Senza una corretta alfabetizzazione, purtroppo queste persone sono destinate a restare ai margini. Per loro sono preclusi percorsi di inclusione». Lo conferma la dirigente del CPIA, Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, di Verona, Nicoletta Morbioli, che ha visto passare dalle sue aule molti migranti poi inseritisi nella società.