Venerdì 18 ottobre l’anfiteatro romano ha ospitato per la
prima volta il giuramento dei Volontari in Ferma Prefissata di un anno appartenenti
all’85° Reggimento “Verona”. Consegnata anche la cittadinanza onoraria alla
bandiera di guerra. Un’occasione per scambiare alcune riflessioni con il
Ministro Mauro.
di Matteo Scolari
Hanno fatto
il loro ingresso nel centro storico della città di Verona appena dopo pranzo,
un paio d’ore prima dell’inizio della cerimonia ufficiale, a bordo di alcuni
autobus dell’Esercito Italiano. Giovani, eleganti, con le loro divise
impeccabili, con quei capelli corti appena tagliati e sistemati; con la barba
rasata, con il basco rigorosamente in testa e i guanti bianchi stretti nelle
mani. Sguardi emozionati, concentrati, che dall’alto dei finestrini delle verdi
corriere incrociavano con una
punta d’orgoglio, lungo la strada, quelli della gente comune.
Consapevoli,
questo è certo, che quello che avrebbero vissuto nel pomeriggio in Arena,
sarebbe stato uno dei momenti più importanti della loro vita. Alle 14.45 di
venerdì 18 ottobre cinquecento Volontari in Ferma Prefissata di un anno (VFP1)
del 3° blocco 2013 appartenenti all’85° Reggimento Addestramento Volontari
“Verona” hanno giurato fedeltà alla Repubblica Italiana sulle note dell’Inno di
Mameli, acquisendo lo status di militare.
Un
giuramento inedito, visto che è avvenuto per la prima volta all’interno dell’anfiteatro
romano, e suggestivo, vissuto al cospetto della Bandiera di Guerra e agli
ordini del Comandante del 85° reggimento “Verona”, Colonnello Gianfranco
Giuseppe Francescon. Una giornata storica in cui il sindaco di Verona, Flavio Tosi, alla presenza del Ministro della
Difesa Sen. Mario Mauro, del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale di
Corpo d’Armata Claudio Graziano e delle massime autorità civili, militari e
religiose, ha concesso la cittadinanza onoraria alla bandiera di guerra dell’85°
Reggimento, a conferma del forte legame che, dal lontano 1884, unisce il
Reggimento alla città scaligera, di cui porta il nome ed i colori giallo-blu
della mostreggiatura.
Abbiamo
incontrato al termine della cerimonia proprio il Ministro Mario Mauro, il quale
ci ha concesso, gentilmente, alcune dichiarazioni.
Ministro, una giornata particolare per questi
cinquecento volontari...
L’evento che
si è svolto oggi a Verona è stato veramente bello e significativo perché dà
senso ai sacrifici che questi ragazzi hanno fatto e stanno facendo
nell’interesse del Paese e anche della comunità che li ospita, quindi anche di
Verona. Sono grato verso di loro per aver fatto una scelta di vita che li porta
ad essere tra i veri garanti delle pubbliche istituzioni.
Lei rappresenta un Ministero fondamentale per il
nostro Paese, soprattutto in un momento in cui le tensioni, interne e
internazionali sono accese. Con quale spirito affronta quotidianamente il suo
ruolo istituzionale?
Ho ricevuto
l’incarico di Ministro della Difesa esattamente nei giorni in cui davanti a
Palazzo Chigi, a Roma, si è consumato un vile attentato che ha provocato il
ferimento di due carabinieri e di una donna. Un fatto gravissimo che avrebbe
potuto avere un epilogo peggiore e che mi ha molto segnato. Ecco, io inizio la
giornata con lo spirito e il sentimento che provai in quelle settimane,
cercando di adempiere ai miei compiti garantendo la sicurezza e il bene
comune.
Lei è stato, tra le altre, vicepresidente
dell’Assemblea paritetica europea e ha condotto la battaglia per la difesa dei
diritti umani nel mondo, compiendo decine di missioni al di fuori del
continente europeo e promuovendo 13 proposte di risoluzione in difesa della
vita e della libertà religiosa. Ha insegnato "Diritti fondamentali dell'uomo
nel diritto naturale e nelle convenzioni internazionali" presso
l’Università Europea di Roma e nel suo pluriennale impegno al Parlamento
europeo ha cercato di sensibilizzare le istituzioni attraverso iniziative su
temi delicati quali le adozioni internazionali, la libertà di stampa, il
genocidio del Darfur e promuovendo il dialogo interreligioso. Poco più di un
mese fa, a Lampedusa, abbiamo assistito a una delle più grandi tragedie del
mare degli ultimi anni. Vorremmo un suo commento.
Alcuni Paesi
europei ci fanno notare che il numero di rifugiati presso di loro è superiore a
quello italiano, sia in termini assoluti come la Germania, o in proporzione
come la Svezia. L’allarme che stiamo lanciando all’Europa non è basato su una
questione numerica, non è che vogliamo meno rifugiati degli altri, piuttosto
vorremmo che ci fosse una seria
consapevolezza che tutti coloro che tentano la strada di arrivo in Italia via
mare mettono a repentaglio la propria vita, come purtroppo vediamo, alimentando
per altro un traffico odioso di persone che fa l’interesse dei clan criminali.
Perché si è arrivati a questa situazione di assoluta
emergenza? Quali sono, se ci sono, delle soluzioni da attuare per evitare altre
tragedie di questo genere?
Visto che
siamo stati cosi bravi in Europa ad abbattere le frontiere interne, perché nel
momento in cui consideriamo il caso delle frontiere esterne, replichiamo che
quelle siano questioni di carattere nazionale e non sovrannazionale? Sappiamo
che gli attuali trattati non prevedono uno status federale dell’Unione europea,
ciò non di meno il problema rimane e crediamo che attraverso la strumentazione
europea delle cosiddette buone pratiche si possano sperimentare soluzioni
interessanti come Frontex ed Eurosur.
Parlando di politica internazionale e di missioni
all’estero, come si traduce l’impegno italiano e su quali fronti siamo
impegnati?
Contiamo 5600
uomini suddivisi in 23 nazioni operanti in 33 missioni. Le principali sono
dislocate in Afganistan, in Libano, in Somalia e in Kosovo. Non siamo in Siria,
terra martoriata e in grande difficoltà.
Ministro, un’ultima domanda: cosa risponde agli
italiani che, in un momento di forte recessione economica che interessa il
nostro Paese e non solo, critica le spese sostenute dallo Stato per l’acquisto di
nuovi mezzi militari?
Rispondo
dicendo che la sicurezza contribuisce allo sviluppo. Non c’è lo sviluppo
economico senza la sicurezza e soprattutto senza c’è sicurezza non c’è la pace.
Due buone ragione per avere strumenti militari efficienti. Certo, è necessario
guardare in faccia la crisi, saper contenere spese all’essenziale, ma sapere
anche che compriamo aerei perché i predecessori vanno in pensione e che
facciamo navi mentre le altre, vecchie di cinquant’anni, stanno affondando.