Storie del territorio | 16 novembre 2013, 11:42

Dall'Arena un grido, una promessa: lo giuro!

Dall'Arena un grido, una promessa: lo giuro!

Venerdì 18 ottobre l’anfiteatro romano ha ospitato per la

prima volta il giuramento dei Volontari in Ferma Prefissata di un anno appartenenti

all’85° Reggimento “Verona”. Consegnata anche la cittadinanza onoraria alla

bandiera di guerra. Un’occasione per scambiare alcune riflessioni con il

Ministro Mauro.

di Matteo Scolari

 

Hanno fatto

il loro ingresso nel centro storico della città di Verona appena dopo pranzo,

un paio d’ore prima dell’inizio della cerimonia ufficiale, a bordo di alcuni

autobus dell’Esercito Italiano. Giovani, eleganti, con le loro divise

impeccabili, con quei capelli corti appena tagliati e sistemati; con la barba

rasata, con il basco rigorosamente in testa e i guanti bianchi stretti nelle

mani. Sguardi emozionati, concentrati, che dall’alto dei finestrini delle verdi

corriere incrociavano con una

punta d’orgoglio, lungo la strada, quelli della gente comune.

Consapevoli,

questo è certo, che quello che avrebbero vissuto nel pomeriggio in Arena,

sarebbe stato uno dei momenti più importanti della loro vita. Alle 14.45 di

venerdì 18 ottobre cinquecento Volontari in Ferma Prefissata di un anno (VFP1)

del 3° blocco 2013 appartenenti all’85° Reggimento Addestramento Volontari

“Verona” hanno giurato fedeltà alla Repubblica Italiana sulle note dell’Inno di

Mameli, acquisendo lo status di militare.

Un

giuramento inedito, visto che è avvenuto per la prima volta all’interno dell’anfiteatro

romano, e suggestivo, vissuto al cospetto della Bandiera di Guerra e agli

ordini del Comandante del 85° reggimento “Verona”, Colonnello Gianfranco

Giuseppe Francescon. Una giornata storica in cui il sindaco di Verona, Flavio Tosi, alla presenza del Ministro della

Difesa Sen. Mario Mauro, del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Generale di

Corpo d’Armata Claudio Graziano e delle massime autorità civili, militari e

religiose, ha concesso la cittadinanza onoraria alla bandiera di guerra dell’85°

Reggimento, a conferma del forte legame che, dal lontano 1884, unisce il

Reggimento alla città scaligera, di cui porta il nome ed i colori giallo-blu

della mostreggiatura.

Abbiamo

incontrato al termine della cerimonia proprio il Ministro Mario Mauro, il quale

ci ha concesso, gentilmente, alcune dichiarazioni.

Ministro, una giornata particolare per questi

cinquecento volontari...

L’evento che

si è svolto oggi a Verona è stato veramente bello e significativo perché dà

senso ai sacrifici che questi ragazzi hanno fatto e stanno facendo

nell’interesse del Paese e anche della comunità che li ospita, quindi anche di

Verona. Sono grato verso di loro per aver fatto una scelta di vita che li porta

ad essere tra i veri garanti delle pubbliche istituzioni.

Lei rappresenta un Ministero fondamentale per il

nostro Paese, soprattutto in un momento in cui le tensioni, interne e

internazionali sono accese. Con quale spirito affronta quotidianamente il suo

ruolo istituzionale?

Ho ricevuto

l’incarico di Ministro della Difesa esattamente nei giorni in cui davanti a

Palazzo Chigi, a Roma, si è consumato un vile attentato che ha provocato il

ferimento di due carabinieri e di una donna. Un fatto gravissimo che avrebbe

potuto avere un epilogo peggiore e che mi ha molto segnato. Ecco, io inizio la

giornata con lo spirito e il sentimento che provai in quelle settimane,

cercando di adempiere ai miei compiti garantendo la sicurezza e il bene

comune. 

Lei è stato, tra le altre, vicepresidente

dell’Assemblea paritetica europea e ha condotto la battaglia per la difesa dei

diritti umani nel mondo, compiendo decine di missioni al di fuori del

continente europeo e promuovendo 13 proposte di risoluzione in difesa della

vita e della libertà religiosa. Ha insegnato "Diritti fondamentali dell'uomo

nel diritto naturale e nelle convenzioni internazionali" presso

l’Università Europea di Roma e nel suo pluriennale impegno al Parlamento

europeo ha cercato di sensibilizzare le istituzioni attraverso iniziative su

temi delicati quali le adozioni internazionali, la libertà di stampa, il

genocidio del Darfur e promuovendo il dialogo interreligioso. Poco più di un

mese fa, a Lampedusa, abbiamo assistito a una delle più grandi tragedie del

mare degli ultimi anni. Vorremmo un suo commento.

Alcuni Paesi

europei ci fanno notare che il numero di rifugiati presso di loro è superiore a

quello italiano, sia in termini assoluti come la Germania, o in proporzione

come la Svezia. L’allarme che stiamo lanciando all’Europa non è basato su una

questione numerica, non è che vogliamo meno rifugiati degli altri, piuttosto

vorremmo  che ci fosse una seria

consapevolezza che tutti coloro che tentano la strada di arrivo in Italia via

mare mettono a repentaglio la propria vita, come purtroppo vediamo, alimentando

per altro un traffico odioso di persone che fa l’interesse dei clan criminali.

Perché si è arrivati a questa situazione di assoluta

emergenza? Quali sono, se ci sono, delle soluzioni da attuare per evitare altre

tragedie di questo genere?

Visto che

siamo stati cosi bravi in Europa ad abbattere le frontiere interne, perché nel

momento in cui consideriamo il caso delle frontiere esterne, replichiamo che

quelle siano questioni di carattere nazionale e non sovrannazionale? Sappiamo

che gli attuali trattati non prevedono uno status federale dell’Unione europea,

ciò non di meno il problema rimane e crediamo che attraverso la strumentazione

europea delle cosiddette buone pratiche si possano sperimentare soluzioni

interessanti come Frontex ed Eurosur.

Parlando di politica internazionale e di missioni

all’estero, come si traduce l’impegno italiano e su quali fronti siamo

impegnati?

Contiamo 5600

uomini suddivisi in 23 nazioni operanti in 33 missioni. Le principali sono

dislocate in Afganistan, in Libano, in Somalia e in Kosovo. Non siamo in Siria,

terra martoriata e in grande difficoltà.

Ministro, un’ultima domanda: cosa risponde agli

italiani che, in un momento di forte recessione economica che interessa il

nostro Paese e non solo, critica le spese sostenute dallo Stato per l’acquisto di

nuovi mezzi militari?

Rispondo

dicendo che la sicurezza contribuisce allo sviluppo. Non c’è lo sviluppo

economico senza la sicurezza e soprattutto senza c’è sicurezza non c’è la pace.

Due buone ragione per avere strumenti militari efficienti. Certo, è necessario

guardare in faccia la crisi, saper contenere spese all’essenziale, ma sapere

anche che compriamo aerei perché i predecessori vanno in pensione e che

facciamo navi mentre le altre, vecchie di cinquant’anni, stanno affondando.