Storie del territorio | 29 dicembre 2015, 10:45

Io, musulmano di Betlemme, vi racconto la mia Italia

Mustafa Dereya ha 35 anni e da sette mesi è cittadino italiano. Proviene da Betlemme ed è musulmano. Ha conseguito una laurea in inglese in ingegneria meccanica e parla correttamente tre lingue. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare le sue esperienze di vita da quando ha lasciato la Palestina per venire in Italia e per capire com’è essere “non cristiano” in un paese come il nostro.

Mustafa, come mai hai scelto proprio l’Italia? E da quanto sei qui?

«Sono venuto in Italia nel 2001. È l’unico Paese che mi permetteva di continuare gli studi in ingegneria meccanica. In Germania sarebbe stato più difficile. Per poter ottenere il visto era necessario che mi iscrivessi ad una qualsiasi università, così ho scelto Siena. Qui ho seguito un corso di sei mesi per imparare l’italiano poi mi sono trasferito a Verona (dove aveva degli amici, ndr) alla facoltà di Informatica. Mi sarebbe piaciuto seguire un corso di informatica applicata all’ingegneria meccanica ma in Italia non c’è. Nel frattempo mi sono rivolto all’Università di Torino per il riconoscimento della laurea che ho preso all’Università di Hebron (in Cisgiordania, ndr) in quanto le due università sono gemellate. Poi ho lasciato gli studi perché ho trovato lavoro. Ho lavorato due anni e mezzo alla Ford di Verona come meccanico e intanto ho seguito i corsi di aggiornamento a Bergamo.

È stato difficile trovare lavoro?

Ci sono state tante difficoltà burocratiche a causa della diversità dei documenti. In Italia non si da molto peso al titolo ma alle competenze. Ora sono responsabile del reparto riparazioni auto in un’altra officina veronese.

Come ti trovi a Verona?

Mi sono sempre trovato bene. Ho molti amici, sia cristiani che musulmani. I veronesi rispettano le brave persone che lavorano. Per mia moglie è stato più difficile perché, dopo una laurea in Farmacia, un master in Cosmetica a Ferrara e un tirocinio di sei mesi a Milano, non è riuscita a trovare lavoro a causa del velo. Ad agosto ho dovuto far tornare lei e i due bimbi a Betlemme. È una guerra. Mi mancano tantissimo. Vorrei riportarli qui perché si vive meglio, non c’è la povertà che c’è in Palestina. Ma se non trova lavoro cambiamo proprio paese, andiamo in Inghilterra.

Qual è il tuo sogno?

Il mio sogno è aprire con mia moglie un’azienda di cosmetica in Palestina. Lo farei per ritornare nel mio paese e per aiutare gli altri offrendo loro un lavoro. A Betlemme convivono pacificamente cristiani e musulmani e si rispettano. La differenza di religione non importa, per me sono sempre palestinesi.