Storie del territorio | 28 febbraio 2019, 11:40

La storia di Moussa, niente di più

La storia di Moussa, niente di più

Sta in affitto, in un appartamento a Lugo (nel Comune di Grezzana). «Faccio bancali», risponde il giovane ivoriano quando gli si chiede cosa riempie le sue giornate in attesa del verdetto che dirà se può o meno restare in Italia. Due mesi fa Moussa è uscito dal Centro di accoglienza straordinaria di Costagrande. Dopo un tirocinio gratuito in un’azienda della zona, è stato assunto con un vero contratto. Ha amici italiani, come Ilario. Nella sua casa non ha appeso neanche un quadro. Non sa se gli sarà concesso il tempo di guardarlo.

CI PENSA IL SUO ITALIANO limpido, sempre articolato con precisione, a sgretolare le polemiche piccole come quelle di rito. Quando non si ricorda una parola se la fa dire, la ripete tre, quattro volte quasi per stringerla e affidarla con sicurezza al suo dizionario interiore. Ha 29 anni e non se la sente di comprare un quadretto con un paio di fiori per dare un senso di casa all’appartamento che divide con altri due coetanei, anche loro assunti con regolare contratto in aziende locali. Non lo fa per una ragione che è disegnata dal fatalismo e dalla scaramanzia. Perché è dura arredarsi una vita qui per poi vedersela scomporre dalla decisione del giudice. Per la stessa ragione, quasi per una timidezza auto-punitiva, non voleva farla questa intervista. È affranto da quel che ha letto nell’ultimo ricorso per la sua richiesta di asilo. Le sue speranze sono diventate brevi, non possono posarsi su alcun progetto finché non arriverà un altro esito, questa volta definitivo, dell’appello. Parlarne con i giornali, lo sa, non cambierà le cose, non modificherà di un millimetro la scelta finale di chi è chiamato a decidere. Ma serve una versione parallela alla narrazione univoca che sembra imperare: consegnare la sua storia, per questo ventinovenne della Costa D’Avorio, vuol dire semplicemente «far capire che siamo persone, e come tutti, alcuni sono furbi, altri, invece, sono gentili». Lo dice con l’onestà di uno che ha vissuto anche le fasi più difficili di Costagrande, di quando si era arrivati, tre anni fa, a capienze limite (500 persone), tra caldo, attese e spazi ridotti da far impazzire. Ma come il ragazzino quattordicenne, morto in mare con la pagella cucita in tasca, a certificare preventivamente le sue buone intenzioni, anche Moussa cerca, con il suo italiano sempre rifinito e con il suo impegno sul lavoro, di crearsi le referenze per non essere frainteso.

È ARRIVATO IN SICILIA nel 2016, da lì è stato smistato a Costagrande dove è rimasto fino a due mesi fa quando è uscito. Ora abita a Lugo. Dal lunedì al venerdì («ma quando serve, anche il sabato mattina») lavora come operaio. Ha un contratto di cinque anni. Vero, normale. E quindi paga l’affitto, fa la spesa a fine giornata, stanco come lo siamo tutti dopo le fatiche quotidiane. Ma perché Moussa è stato assunto e i suoi coetanei italiani hanno così difficoltà a riuscirci? L’obiezione facile e facinorosa si risolve in una risposta semplice. Ha fatto uno stage gratuito. Durante quei mesi ha lasciato che a descriverlo fosse la sua serietà, niente di più. Prima, quando stava a Costagrande, c’è sempre andato ai corsi organizzati dalla cooperativa Tinlè che ha gestito per anni l’aspetto di mediazione socio-linguistica culturale del centro di Avesa. Servizi poco conosciuti – che esulano dalla mera erogazione del vitto e dell’alloggio – volti a creare veri ponti con il tessuto locale perché è il lavoro il metodo di integrazione più efficace. Formazione scolastica, tirocini professionali: un programma di accoglienza che con il decreto sicurezza è stato reciso un aspetto dopo l’altro (sono stati, infatti, ridimensionati i fondi alle cooperative da 35 euro ad un massimo di 19/26 euro a persona). Moussa è stato uno dei richiedenti asilo che ha partecipato al programma di lavori socialmente utili organizzato dal Comune di Grezzana perché «in qualche modo volevo dire grazie all’Italia che mi ha accolto». Lì, mentre sistemava strade e tagliava erbacce, ha conosciuto un amico, Ilario Bombieri (tra l’altro consigliere comunale nel paese della Valpantena). Ora la loro amicizia ha il privilegio della quotidianità. Insieme passeggiano, «fanno cose italiane», pensano il meno possibile ai numeri delle domande di asilo rifiutate, dinieghi cresciuti del 20 percento negli ultimi tre mesi sull’onda del decreto Salvini. Moussa continua a non comprare quadretti, lavora e aspetta.