Storie del territorio | 25 agosto 2020, 17:50

Marco Malvezzi, fermoimmagine della violenza della natura

Marco Malvezzi, fermoimmagine della violenza della natura

Ci ha abituati - specie negli ultimi tempi per il progetto di candidatura degli Alti Pascoli della Lessinia nel Registro nazionale dei territori rurali di interesse storico - a fotografie di paesaggi montani di rara bellezza. Sensibilità, capacita tecnica, spirito di osservazione, un mix perfetto che fa dell’opera fotografica di Marco Malvezzi una vera e propria arte, Anche in occasione del violento nubifragio dello scorso 23 agosto che ha colpito la città di Verona, il fotografo veronese ha preso in mano la sua macchina fissando in alcuni scatti che testimoniano, con vivo realismo, tutta la drammaticità del momento. 

Le foto sono spettacolari, rappresentano in pieno la potenza e la violenza del nubifragio. Dove si trovava al momento degli scatti?

Io abito a Novaglie, una zona collinare tra Montorio e Mizzole, ma il mio studio si trova in Borgo Venezia, in una palazzina molto alta e con un terrazzino che consente una vista a 360° da un lato sulla Lessinia-Baldo-Torricelle e dall’altro alto sul castello di Montorio. Mi trovavo in ufficio e sapevo, anche grazie alle previsioni meteo reperibili sui siti internet, che era in arrivo questa perturbazione prevista per le 17. Inizialmente ho visto solo un classico cielo plumbeo, subito dopo sono apparse queste nuvole ben delineate, fino a formare quello che in gergo si chiama shelf cloud, che presagiva qualcosa di potente, che puntualmente è arrivato. Si è prospettata davanti a me questa scena affascinante: la natura quando si scatena è meravigliosa, nonostante i danni che poi provoca. Mi sono detto: «Marco, fai qualche scatto». Sono uscito quindi sul terrazzino: si stava avvicinando a una velocità impressionante. C’era quest’adrenalina ed eccitazione ma anche paura e timore. Il tempo di qualche scatto e si è scatenato il finimondo. Ho pubblicato le mie foto e hanno avuto un riscontro incredibile e inaspettato.

Quindi cos’ha provato quando si è trovato davanti a questo scenario?

Naturalmente si è attratti da questi fenomeni maestosi: raramente un fotografo immortala cieli piatti, azzurri e limpidi. Scattare quelle foto è stato eccitante, io non sono un amante dei pericoli ma avere un cielo così che ti viene incontro ti eccita. Ne sei attratto e affascinato, ma soprattutto spaventato: queste situazioni spesso sono portatrici di danni e disgrazie. Se da un lato sono onorato che le mie fotografie siano state apprezzate, dall’altro sono molto dispiaciuto per quello che è successo dopo gli scatti.

I suoi scatti sono perlopiù paesaggistici e montani, evocano serenità. Le era mai capitato un paesaggio così “minaccioso”?

Ne ho visti, ricordo che era successo qualche anno fa anche a Borgo Venezia, ma di questa entità e a questo livello di conformazione delle nuvole no, mai. Oggi faccio 50 anni, ne ho viste tante, ma non ho mai visto una situazione del genere e soprattutto così vicina a me, quasi a portata di mano. È stata un’esperienza forte. Si pensa sempre al paesaggio bucolico, disneyiano, della natura molto dolce e soave, ma la natura a 360° può avere anche risvolti violenti e pericolosi. Anche questo è paesaggio.