Storie del territorio | 03 novembre 2021, 16:43

Cambiare la ristorazione è una ricetta semplice

Cambiare la ristorazione è una ricetta semplice

Chiunque sia mai stato in Piazza delle Erbe, l’antico foro romano della città di Verona, sarà rimasto rapito da quell’imponente cancello in ferro battuto che, chiudendo uno dei lati della piazza, custodisce al suo interno un palazzo elegante e ricercato, ricco di storia e tradizione. Si tratta di palazzo Maffei, edificio cardinalizio del XVII secolo, che accoglie tra le sue mura un ristorante simbolo della città scaligera. Rilevato negli anni ‘90 da Ferdinando Gambaretto, dal 2010 è gestito dal figlio Luca, all’epoca ventunenne e iscritto al secondo anno della facoltà di Economia a Verona, affiancato dalla sorella Silvia. Se all’inizio la conciliazione studio-lavoro non è stata semplice, negli anni lo sviluppo di queste capacità hanno permesso a Gambaretto di ritagliarsi uno spazio nel settore della ristorazione, con diversi progetti all’attivo, e fondare, nel 2017, il Do it better Group, società che conta oggi cinque locali. 

Cosa fosse da “fare meglio” è presto detto: dare nuova linfa al settore della ristorazione, un universo che negli ultimi anni, complice la pandemia, ha vissuto periodi di tempesta. «Il Covid ha rivoluzionato il mondo del lavoro - racconta Gambaretto - basti pensare allo smart working. Per quanto impossibile da applicare in cucina, ci ha costretti a rivedere i valori e le linee guida del nostro modo di lavorare». Nasce da queste riflessioni l'esigenza di innovare un settore sempre troppo lontano da mentalità imprenditoriali, con contratti di lavoro svilenti che hanno portato all'allontanamento delle forze lavoro di cui oggi si parla a gran voce. «La nostra volontà è quella di proceduralizzare il lavoro, renderlo chiaro, efficiente e più organizzato, sviluppare competenze dando a ognuno dei dipendenti una motivazione sì economica, ma anche umana per far parte di questo gruppo». Al centro tornano quindi ad esserci la persona, da mettere in risalto nella sua singolarità, e valori aziendali condivisi. 

Il nuovo corso del Maffei riparte da una squadra giovane, internazionale e motivata, sia in sala che in cucina. Proprio qui, a guidare la brigata nel ruolo di Executive Chef, è arrivato Fabio Tammaro, reduce dal progetto dell’Officina dei Sapori. Originario di Torre Annunziata, per Tammaro l’imprinting marino è inevitabile: è il pesce l’ingrediente principe e principale della sua cucina, portato nella carta del Maffei e proposto in accostamenti anche arditi, insieme al formaggio oppure nelle sue parti meno conosciute. «Il pesce è un ingrediente poco comunicato - racconta Tammaro - o spesso comunicato male. La maggior parte delle persone non è cosciente della storia di questo alimento, ormai abituata al concetto di cibo pronto. Quando mostro com’è fatto il pesce, dov’è il cuore o il fegato, mi guardano come fosse un alieno». L’unica risposta possibile rimane quindi il lavorarlo con coscienza e sensibilità. «Èsempre una grande emozione per me lavorare dei pesci semisconosciuti a livello commerciale - rivela Tammaro -, proporli ai clienti e vederli sbalorditi. Ai tempi dell’Officina proposi il barracuda, che altro non è che la versione marittima del luccio. O ancora avvicinare il cliente a parti più inusuali del pesce, come il lattume di ricciola, la sacca ovarica maschile del pesce che abbiamo proposto in alcune occasioni qui al Maffei, come entrèe. Questo è il "mangiare che apre nuovi orizzonti", in un momento in cui davvero pochi hanno a cuore l’interesse del mare e della biodiversità». 


Un rinnovarsi che passa anche attraverso una filosofia antispreco, che dalle materie estrae tutte le potenzialità, valorizzando le peculiarità di ogni singolo ingrediente. Il Maffei non ne esce stravolto, ma arricchito, perché la sua storicità, anche culinaria, andava preservata. La proposta di Tammaro si divide in tre percorsi di degustazione, Presente, Passato e Futuro, un viaggio tra piatti storici del ristorante e creazioni contemporanee che uniscono terra e mare in una nuova freschezza. «Volevamo offrire sia un’esperienza che esaudisse le richieste dei clienti più tradizionali con un menù rassicurante - racconta l’Executive chef -, sia una più esclusiva, innovativa. Passato un menù consueto ma non banale, Presente un menù attuale, di grande equilibrio, con piatti già esclusivi del Maffei. Futuro invece è il nostro laboratorio di sperimentazione, dove utilizziamo ingredienti particolari, capaci di alzare il livello di attenzione dei commensali». Nei nuovi menù viene meno la distinzione tra pesce e carne, che convivranno nello stesso percorso di degustazione e talvolta anche nello stesso piatto, e si spingerà per una maggiore libertà nell’abbinamento con i vini, per testimoniare come la cucina debba farsi sempre più terreno di scambio e meno luogo di pregiudizio, luogo in cui eliminare etichette e barriere per provare a rivedere le abitudini, anche quelle più consolidate. I cambiamenti iniziano sempre dalle piccole cose: un piatto, un accostamento, la valorizzazione di una persona; dare nuova vita alla ristorazione, in fondo, è una ricetta semplice

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