Storie del territorio | 09 marzo 2020, 11:22

La storia di Maria Cristina e la conciliazione possibile

La storia di Maria Cristina e la conciliazione possibile

Dirigente d’azienda dal 2001, Maria Cristina Barbero vanta un curriculum eccellente con esperienze all’estero e lavori al fianco di manager di grande esperienza. Oggi lavora in Engineering Ingegneria Informatica SpA dal 2005, insegna a Padova e collabora con il Project Management Institute sia a Milano e Roma che negli USA. Un esempio di come il binomio famiglia-lavoro possa dare risultati positivi, di come le difficoltà abbiano sempre una possibilità di soluzione.

Maria Cristina, quali difficoltà oggettive ha trovato nel cercare di conciliare lavoro e vita familiare?

Nel conciliare lavoro e vita familiare la prima difficoltà che si incontra è evidentemente la gestione del tempo. Quando Giulia è nata i miei genitori si erano appena trasferiti in Piemonte e la possibilità di farsi aiutare in forma stabile da loro non era percorribile. Olivetti è stata una azienda che mi ha sostenuto fin dall’inizio della maternità, pagandomi la baby-sitter e premurandosi di trovare sempre un posto per Giulia durante le mie trasferte. Per gestire il tempo bisogna trovare un appoggio, da soli non ce la si può fare. Non essere sposata e non vivere con un uomo a fianco non peggiora la situazione: i problemi sono gli stessi, sia per una coppia di genitori o genitori singoli. Altra difficoltà è sul piano psicologico, non è tanto il sentirsi soli o affranti dagli impegni ma gli altri che tendono a pensare che chi ha figli non può assumersi determinate responsabilità. Questo è quello che non dobbiamo mai fare come manager, ipotizzare scelte basate sui presunti problemi degli altri. Altra considerazione: da un punto di vista della carriera è meglio avere figli da giovani, prima dei 30 anni. è più facile conciliare la vita lavorativa e la vita famigliare da giovani e poi si avrà tempo per concentrarsi sulla carriera.

Pensa che le donne, talvolta, si facciano autogol da sole nascondendosi dietro mansioni familiari per non mettersi in gioco veramente?

Questa è una bellissima domanda rispetto alla quale faccio delle considerazioni che riguardano anche gli uomini. Il mio team conta 45-55 persone alle quali chiedo mobilità, disponibilità alla trasferta, conoscenza delle lingue. Mi succede che giovani ragazzi di Milano abbiano dato le dimissioni perché li ho messi a Venezia in trasferta, o che in sede di colloqui io proponga ad un ragazzo di Milano un lavoro a Torino e questo lo rifiuti. Quindi sì, le mansioni familiari, i legami affettivi, l’abitudine ad uno stile di vita rilassato determinano spesso una rinuncia a mettersi in gioco veramente, a fare fatica. In uomini e donne. La cosa però, a mio avviso, è strettamente correlata ad un basso interesse per la crescita della propria professionalità. Se credi che tu stai facendo qualche cosa di importante per l’azienda ed il mondo, per i tuoi clienti, per i tuoi figli, allora superi gli ostacoli. Sempre.

Ci sono consigli pratici che si sente di dare a chi si trova ora in questa situazione di difficile conciliabilità?

Sì, suggerisco di fare quello che ci si sente, scegliendo con onestà intellettuale. Se davvero si vuole lavorare e gestire la famiglia, si deve voler fare bene entrambe. Dire “in questi anni penso alla famiglia, poi ripenserò al lavoro” è sbagliato. Piuttosto si cerchino le condizioni per fare qualche cosa di meno su entrambi i fronti ma fatte bene. Non è giusto penalizzare la famiglia e non è giusto penalizzare le aziende. Credo, inoltre, che le aziende oggi offrano molto poco ai genitori. Createvi dunque delle strutture extra familiari: per me le suore Orsoline di Verona sono state importantissime. Giulia aveva un lettino nella loro case famiglia e quando dovevo dormire fuori, lei era in buone mani. E poi, ripeto, se potete, anticipate la maternità.