Storie del territorio | 02 aprile 2021, 17:12

Valpantena e Custoza, insieme per le famiglie e il territorio

Valpantena e Custoza, insieme per le famiglie e il territorio

Globalizzazione, mercato sempre più competitivo e affollato, metteteci pure la pandemia che da un anno a questa parte ha stravolto tutti gli equilibri, e i conti sono fatti. Le fusioni sono all’ordine del giorno, in tutti i settori. Ci sono fusioni e fusioni però. Quella approvata dai soci di Cantina Valpantena e Cantina di Custoza ha un sapore buono, genuino. Due realtà, la prima fondata nel 1958, la seconda dieci anni dopo, nel 1968, che hanno deciso, non senza qualche piccola resistenza di carattere campanilistico, di prendersi per mano e affrontare a braccetto la strada tortuosa, ma altrettanto stimolante, che porta nel futuro. Per conoscere le tappe principali e le motivazioni che hanno spinto le due realtà a proseguire insieme, abbiamo raggiunto l’ex presidente di Cantina Valpantena, ora presidente di Cantine di Verona, Luigi Turco.

Presidente Turco, il progetto di fusione si è concretizzato in queste settimane, ma da dove parte l’idea e perché?

L’idea e un primo approccio alla fusione nascono ancora alla fine del 2019. Nei mesi successivi, dopo il rinnovo dei rispettivi consigli di amministrazione, ci siamo seduti attorno ad un tavolo per discutere della fusione che si è svolta attraverso un’operazione che tecnicamente si definisce “di incorporazione” della Cantina di Custoza da parte della Cantina Valpantena.

Il Covid ha rallentato i vostri piani?

Sì, nei primi mesi del 2020 gli incontri si sono ridotti a causa della pandemia per poi riprendere più frequenti nel giugno dello stesso anno. L’estate scorsa abbiamo iniziato a serrare le fila e a cercare di arrivare a chiudere l’operazione.

È filato tutto liscio o c’è stata qualche resistenza?

Quando si parla di fusione per incorporazione, qualche preoccupazione, specie nella parte incorporata, c’è. Si riduce il numero di consiglieri di quest’ultima, quindi c’è un’entrata in minoranza, c’è il timore di perdere l’autonomia e per certi aspetti anche più di mezzo secolo di storia.

Infatti durante prima delibera in Cantina di Custoza, il 12 dicembre 2020, avevano già votato a favore 10 consiglieri su 15, votazione che si rifletteva però nel corpo sociale con 89 sì e 66 no, quindi meno dei due terzi, ovvero il quorum, richiesti per l’approvazione. Abbiamo quindi proseguito il dialogo, abbiamo cercato di smussare ulteriori spigoli fino ad ottenere il placet di 12 consiglieri (tre i contrari) che hanno portato lo scorso 20 marzo i favorevoli a 118 contro i 38 fermi sul no. Il dialogo, il confronto tra le parti, la costruzione di un piano strategico condiviso per il futuro hanno avuto la meglio. E ringrazio il presidente di Cantina di Custoza Giovanni Fagiuoli per aver creduto in questo progetto e per aver espresso parole di sostegno alla bontà dell’operazione.

A proposito di operazione, lei l’ha definita storica e di enorme valenza per il territorio. Perché?

Storica perché stiamo parlando di due cantine che hanno una loro precisa connotazione nel territorio, una, la Cantina di Valpantena, ha 63 anni, quella di Custoza 53, hanno avuto una vita autonoma ricca di soddisfazioni pur in ambiti diversi: loro nell’ambito del Custoza e Bardolino, noi nel Valpolicella soprattutto. Mettere insieme due realtà che fino a ieri pensavano di poter andare avanti da sole e fonderle insieme è un passo epocale e irreversibile.

Quali i vantaggi?

Le due realtà insieme aumentano la loro dimensione, condividono management, accrescono la massa e il peso sul mercato, riescono ad attuare economie di scala, raddoppiano le forze, lavorano su duemila ettari con un numero elevato di soci, condividono conoscenza ed esperienza.  Oggi in un mercato molto difficile, molto più difficile a causa della pandemia, ma anche della globalizzazione, è necessario avere una certa dimensione per rimanere competitivi. Ricordo anche che le aziende insieme danno lavoro a 100 dipendenti.

Caratteristiche di affinità?

Siamo complementari nel presentare sul mercato un paniere completo, con prodotti diversificati in grado di intercettare il cliente straniero, il quale, rivolgendosi a Cantine di Verona, può avere tutti i vini a denominazione veronese: Valpolicella, Amarone, Bardolino, Custoza, Lugana, Soave, Pinot grigio.

Prossimi passi?

A livello formale, la sede rimane a Quinto. C’è in programma un piano di investimenti che vedrà proprio protagonista il sito di Custoza, andremo a strutturarlo dal punto di vista logistico e produttivo con un investimento da subito di oltre cinque milioni di euro. Ricordo poi che disponiamo anche della cantina di Ponti sul Mincio. Tre siti produttivi che da oggi hanno lo stesso nome, Cantine di Verona, un nuovo corso per tutti, un unico cappello, quello di Verona, scelto anche per la sua nomea internazionale.

Cambieranno le etichette dei vini?

No, ci presenteremo con i nomi tradizionali. Cantine di Verona è solo il nome giuridico della nuova società che ha al suo interno tutti i marchi storici delle due cantine che si sono unite in matrimonio. Anche questo è un segno di rispetto reciproco a mio avviso.

Che momento è questo per il settore?

Il settore sta un po’ soffrendo per le vendite al dettaglio. L’horeca, come sappiamo, è in forte difficoltà: bar, ristoranti, convegnistica, enoteche…aziende che avevano questi canali per posizionare il loro prodotto sono in difficoltà. Ma anche chi ha tanto vino in magazzino e lo mette nel mercato nella grande distribuzione abbassando il prezzo non fa un buon affare. C’è una riduzione dei consumi, dei prezzi di vendita e dei margini.

Giusto il rinvio del Vinitaly?

Vinitaly non aveva senso farlo se non si possono incontrare le persone. Il problema è di tipo sanitario. Sono ferme tutte le fiere del mondo, è una parziale consolazione. Gli incontri, in questo momento, si fanno lo stesso, in video collegamento, spedendo pacchi di vini con i corrieri…la pandemia sta cambiando il mondo. È chiaro che non vediamo l’ora che la fiera torni festosa, ma è meglio aspettare un anno e ripartire in sicurezza, che provare ora facendo grandi investimenti col rischio di fallire per questioni legate alla salute delle persone.

Preoccupato per il futuro?

No, sono consapevole che ci siano difficoltà economiche che si riflettono anche dal punto di vista sociale. Il nostro settore soffre meno rispetto ad altri. L’agroalimentare non è stato soggetto a restrizioni pur avendo avuto riduzioni sensibili. Non possiamo lamentarci, c’è una decrescita, ma stiamo andando avanti. Certo, dobbiamo risolvere la pandemia, altrimenti sì che ci saranno enormi difficoltà dal punto di vista sociale.

Soluzione?

Avanti con i vaccini. Ci sono paesi come l’Inghilterra che sono andati avanti senza tanti fronzoli e stanno già riaprendo. Noi in quei mercati cominciamo a intravvedere dei risultati. In Italia abbiamo tanta burocrazia, siamo un passo indietro rispetto alla mentalità anglosassone, in questi casi molto più pragmatica della nostra.