Storie del territorio | 28 febbraio 2019, 15:27

Tre uomini e una Panda

Tre uomini e una Panda

È una presa di posizione, più che un titolo. Panda o morte, libro-reportage d’esordio del giornalista veronese Marco Rizzini, è uscito nelle librerie lo scorso 23 novembre e sarà presentato il prossimo 22 febbraio nella Libreria Gulliver di Verona. Un iconico viaggio di ben 12.000 chilometri, in compagnia di due amici, dalle pianure veronesi alle strade polverose della Russia a bordo di una Fiat Panda degli anni ’80.

«CHI VIAGGIA VIVE DUE VOLTE». È così che si dice. Non importa con chi, con quale mezzo o con quale scopo: basta partire. Sul viaggio e le sue innumerevoli sfumature narrative si sono sempre spese molte parole, dai reportage giornalistici ai romanzi di Jack Kerouac. Per inserire Panda o morte in una di queste categorie, probabilmente bisognerebbe crearne una ad hoc in grado di racchiuderle tutte. Si parte con il sapore dell’avventura in bocca, per poi virare verso un racconto introspettivo alla ricerca del dettaglio e di storie del passato spesso dimenticate. «Non è stato solo viaggio tra amici. Il libro è costruito su più piani: è ironico, ma allo stesso tempo racconta dettagli con attenzione e padronanza. C’è lo stupore del fanciullo ma c’è anche una coscienza» ci spiega Marco Rizzini, autore del libro edito da Ediciclo. Classe ’81, radici veronesi ma una vita vissuta fuori dal territorio scaligero: prima a Bologna per studiare Discipline Semiotiche all’università sotto l’ala di Umberto Eco, poi all’estero e infine di nuovo in patria dove, dopo sei anni passati nel campo della comunicazione e del marketing digitale, nel 2017 ha deciso di “mollare tutto” e compiere IL viaggio in compagnia di due amici, Damiano e Federico, a bordo di una Fiat Panda degli anni ’80 arrivando da Verona fino all’Uzbekistan. «La voglia di avventura e conoscenza è ciò che mi contraddistingue. Questo viaggio è stato un successo corale perché servivano competenze diverse: gestire l’aspetto meccanico ma anche quello linguistico. Quello che ha fatto la differenza è stato poter parlare in russo: capire e ascoltare le storie di tutti quei moderni carovanieri che sono i camionisti della Via della Seta e parlare con persone di diverse etnie. È stata un’esperienza di avventura e scoperta» afferma l’autore. Eppure, fermo restando il viaggio incredibile (si parla infatti di più di 12.000 chilometri), ciò che spiazza è la scelta del mezzo, quantomeno singolare: una vecchia Fiat Panda bianca che pare essere stata «la chiave di volta di tutto. Oltre a essere una macchina bella e simpatica è molto affidabile: è un’auto da gran viaggiatore perché può essere aggiustata con il fil di ferro in qualsiasi situazione (ride, ndr). In effetti Panda o morte era quello che ci scrivevamo prima di partire nella fase di preparazione. - sottolinea Rizzini - La macchina l’abbiamo comprata apposta per il viaggio e Damiano l’ha smontata e rimontata in ogni sua parte. L’auto serviva perfetta perché le strade erano pericolose con buche profonde. L’unico problema è stato quando siamo arrivati al Lago d’Aral (zona desertica alla frontiera tra l'Uzbekistan e il Kazakistan, ndr): lì ci siamo insabbiati e siamo stati salvati solo dall’arrivo di alcuni uzbeki che con il loro 4x4 ci hanno tirati fuori, altrimenti avremmo fatto una brutta fine».

DICE DI ESSERSI SENTITO come «Indiana Jones in esplorazione» Marco, che ha affrontato questo viaggio anche per andare alla ricerca di qualcosa a lui caro, la tomba di un bisnonno di origini polacche: «In realtà era il padre del marito della cugina di mia nonna, che ha sempre avuto il ruolo di nonno paterno. Grazie al governo polacco, alla Croce Rossa internazionale e alle associazioni di reduci, sono riuscito in un paio di anni a ritrovare dove era stato sepolto, in un luogo polveroso al largo della Via della Seta, vicino a Bukhara. Per tutta la sua vita mio nonno era convinto che suo padre fosse sepolto nel cimitero polacco di Teheran. Io nel 2012 sono andato lì per fare una foto della lapide, ma non c’era. Da qui è partita la ricerca». E cosa rimane, alla fine, delle migliaia di chilometri macinati da quattro ruote e dai propri piedi? «Mi ha dato tantissimo. È stato un viaggio molto sentito che prosaicamente ti cambia la vita».