Storie di persone | 01 agosto 2020, 17:48

«Ricordare Davide è una ribellione con l'amore»

«Ricordare Davide è una ribellione con l'amore»

Sono passati 40 anni dalla strage di Bologna. Il 2 agosto 1980 alle 10.25 la bomba alla stazione centrale uccise 85 persone e ne ferì altre 200. Davide Caprioli fu l’unica vittima veronese. Aveva vent’anni. Come molti altri quel giorno stava tornando dalle vacanze.

Era con la sua ragazza, Ermanna, e la madre di lei, che si salvarono. Davide infatti, poco prima dell’esplosione, si era alzato dal tavolino del bar dov'erano seduti per controllare l’orario del treno che l’avrebbe riportato a Verona.

Mercoledì alle scuole medie Aldo Fedeli di Borgo Milano a Verona, che aveva frequentato, si è tenuta l’inaugurazione della scultura in sua memoria, che troverà sistemazione nella biblioteca, già intitolata a Davide. Occasione di testimonianza per la sorella maggiore Cristina Caprioli, che da anni continua, con tanti piccoli gesti, a trasmettere la memoria di quel fratello tanto amato, e strappato a un futuro ancora tutto da scrivere.

Chi era Davide Caprioli?

Era un ragazzo carismatico. Aveva una marea di amici ed era il mio fratellone speciale. I miei genitori erano spesso fuori per lavoro, ma eravamo una famiglia unita. Amavo molto mio fratello, ero un po' mamma e un po' sorella.

Quali erano i suoi sogni?

Suonare la chitarra e amare la sua ragazza. Suonare era una delle sue più grandi aspirazioni, anche se diceva sempre che «l’arte non paga», per cui voleva fare il commercialista. Era iscritto all'università, a Economia e Commercio qui a Verona. Era molto bravo. Aveva già fatto tre esami su quattro del primo anno. Stava tornando a Verona anche per verbalizzare proprio il terzo, che aveva già sostenuto. Voleva trovare un lavoro sicuro «per assicurarmi il vivere e avere i mezzi per continuare a suonare», diceva.

Potremmo definirlo un “sognatore concreto”?

Esatto. Proprio un sognatore concreto. Aveva anche un gruppo, con cui suonava il liscio per guadagnare qualcosa, ma quando si trovavano tra di loro erano molto più rockettari. Eppure riusciva a fare tutto, aveva anche la sua ragazza, Ermanna, di Mantova, e tantissimi amici e amiche. Era una persona che riusciva a essere perno, a tenere viva la rete delle amicizie. Credo che sia stata una grossa perdita anche per la società.

Il sottotitolo del sito dedicato a Davide è “Luogo di memoria collettiva”. Perché una memoria collettiva e non solo un dolore intimo?

Perché dobbiamo ricordare. Per me sarebbe più facile chiudere tutto, non avrei questo continuo borbottio nello stomaco. Ultimamente ne abbiamo viste di tutti colori, con alcuni degli esecutori che possono andare a bersi un caffè in piazza, e mi viene ancora rabbia. Chi c’è in prigione? Loro o noi famigliari delle vittime? Purtroppo non posso fare altro che continuare a trasmettere la memoria. Lo facciamo con il sito, che è stato creato da un ex compagno di scuola alle Fedeli, lo facciamo con eventi come questo, organizzato da un suo un altro suo ex compagno di scuola delle elementari.

Negli ultimi anni di atti terroristici ne abbiamo visti tanti. Cosa pensa, cosa sente in quei momenti?

Penso che abbiamo poca memoria. Se avessimo maggiore cultura del rispetto e della dignità, probabilmente non vivremmo di nuovo determinate situazioni. È importante continuare con queste iniziative, come anche le staffette per la memoria. Per questo ringrazio tutte le persone che si impegnano.

Vedere un compagno delle elementari che dopo tutti questi anni ha ancora voglia di spendersi è un segno importante.

È un segno dell’amore che ci ha lasciato Davide, ma anche di ciò che si vuole dire adesso: basta. È una ribellione con l’amore.

Ricorda nitidamente quel giorno?

Sì. Poi per dieci anni non sono riuscita nemmeno a piangere. Non riuscivo a portar fuori le emozioni. Davide era tutto bruciato. Oltre al trauma toracico, aveva un solco dalla nuca per tutta la testa. Quando l’ho visto, prima di colore rosato e poi tutto nero, non riuscivo a credere che fosse mio fratello. Per dieci anni con quell’immagine in testa non sono riuscita nemmeno a piangere. Ora ci riesco. Anche perché se non riesci a portare le emozioni alle persone, non possono capire cosa significhi un evento del genere.

Continuare a ricordare però è difficile.

Vittore Bocchetta, che fu deportato nei campi di concentramento, mi disse che chi ha subito una simile violenza «ha l’obbligo della memoria». Hai il dovere di dirlo a tutti, perché non deve più succedere. La storia in questo senso non deve ripetersi. Il passato ci deve insegnare qualcosa per un futuro migliore. Purtroppo c’è un’ignoranza abissale della nostra storia, di questa storia recente.

Una storia che tra l’altro non è chiusa. Proprio la settimana scorsa è uscita sull’Espresso un’inchiesta sui finanziamenti legati alla strage.

Più passa il tempo e più ho voglia di parlarne. Ho voglia di urlare perché non voglio che si rivivano queste situazioni. Per i nostri figli, per i nostri nipoti e per chi verrà.

Guarda l'intervista a Cristina Caprioli e a Marco Ghinelli, ex compagno di scuola di Davide

 

https://youtu.be/0O1-V79UicQ